Se la protesta parte dai giovani lascia il segno, specie quando mette a repentaglio la loro stessa vita e assesta uno scossone politico alle istituzioni e ai poteri affermati. Succedeva allora ed è successo, nel bene e nel male, anche in tempi più recenti, vedi gli anni ’60 e ’70 del Novecento. Duecento anni fa, sull’onda dei moti scoppiati nell’estate del 1820 a Napoli, in Spagna e in Portogallo – i quali indussero rispettivamente i sovrani Ferdinando I, Ferdinando VII e Giovanni VI a concedere la costituzione – anche in Piemonte si mobilitò parte dei cittadini, con in testa gli studenti. Rivendicavano riforme, maggiori libertà civili, ma in primo luogo auspicavano lo sgombro degli austriaci dal vicino Lombardo-Veneto.

Cominciò tutto durante una fredda giornata invernale. Torino, 11 gennaio 1821, Teatro di Angennes (oggi Gianduia), un casermone divenuto punto d’incontro abituale degli universitari della città e dintorni. Si rappresentava “La gazza ladra” di Rossini; fra il pubblico, variegato e sempre rumoroso, si distinsero quattro ragazzotti con un vistoso berretto rosso in testa, i quali richiamarono l’attenzione divertita e le risate degli spettatori. Ma gli agenti di servizio non risero affatto, perché quel cappello frigio aveva un suo significato e lanciava un messaggio preciso: simboleggiava infatti il giacobinismo francese affine alla Rivoluzione del 1789. Uno dei quattro fu arrestato, mentre gli altri, riusciti a fuggire, vennero denunciati. A quell’episodio seguirono giorni di perquisizioni, di sequestri di materiale ritenuto sovversivo (volantini e manifesti), di arresti, perpetrati soprattutto nelle fila degli ambienti universitari. Furono epurati addirittura una quindicina di insegnanti. 

A quel punto la mobilitazione si fece più insistente e, forte di una partecipazione maggiore, si estese progressivamente presso le altre università distribuite in tutta la regione (a Cuneo in primis). I giovani chiedevano a gran voce il rilascio dei colleghi arrestati – tra l’altro in modo illegittimo perché, come è noto, al tempo gli iscritti all’Università godevano del “diritto di foro” e avrebbero potuto essere posti in stato di fermo solo su richiesta di una magistratura non ordinaria – e un punto d’incontro con la corona in merito alla condizione politica dei territori italiani a nord-est.

L’Università del capoluogo sabaudo venne occupata da un centinaio di studenti, motivo che scatenò una durissima risposta da parte delle forze dell’ordine. E sebbene il governatore di Torino, Thaon de Revel, avesse intimato alle truppe regie «Souvenez vous que vous avez à faire à des enfants», ci furono ben 38 feriti (alcuni di loro riportarono l’amputazione delle dita e addirittura un naso mozzato) e 45 arresti. Racconta il Brofferio, nella sua Storia del Piemonte, che «[] Non furono i soldati quelli che si macchiarono in più gran copia dello strazio di pochi e disarmati giovinetti; si recarono a gloria parecchi ufficiali di seguitare i passi del governatore, per far pompa sotto gli occhi suoi di devozione alla monarchia assoluta; e fu dalla mano di costoro che vibraronsi i colpi più micidiali». Dopo le violenze e gli scontri, la protesta si radicalizzò sino a coinvolgere le elités intellettuali democratiche e ampie fasce della cittadinanza piemontese. A prendere in mano il comando della sollevazione fu il Conte Santorre di Santarosa, che a suo dire, era riuscito a coinvolgere anche dei reparti dell’esercito dei Savoia, pronti – sostenne – all’ammutinamento; si erano altresì costituite delle società vicine alla carboneria, ma a struttura aperta e con obiettivi dichiaratamente costituzionali (nulla a che vedere con le lobbyes massoniche che di lì a pochi decenni avrebbero messo in discussione il sistema sociale a vantaggio di poche congreghe equivoche e caratterizzate dalla segretezza dei membri associati). A inizio marzo 1821 Santarosa stabilì una sinergia con Carlo Alberto, nipote di Vittorio Emanuele I ed erede designato al trono, attratto senza soluzione di continuità dalla causa liberal-unitaria. 

E se è vero che persona est rationalis naturae individua substantia, come affermò Boezio, il giovane principe fu colto dalla fortissima tentazione circa l’opportunità di guidare un’insurrezione generale contro l’Austria legittimato dall’appoggio dell’esercito (in fin dei conti, avrebbe potuto legare il suo nome a un’impresa memorabile). Ma a sconfessare il futuro re fu lo stesso Vittorio Emanuele I, che abdicò a favore del fratello Carlo Felice, di idee conservatrici e più affidabile in quanto a risolutezza.

La congiura piemontese fu facilmente sedata e repressa senza sforzo dalle truppe regie, ma lasciò ugualmente il segno, specie sotto l’aspetto morale e di una più ampia riflessione sulla consapevolezza di appartenenza alla nazione. Se non altro da parte di chi, come quei giovani, era sinceramente convinto della causa unitaria.