Nei giorni scorsi, in coincidenza con l’anniversario della nascita di Alcide De Gasperi, abbiamo ripubblicato l’intervista a Pietro Scoppola, apparsa sul numero speciale “Il Popolo”, il 3 aprile 1981, esattamente a 100 anni dall’evento (lo statista trentino nacque infatti a Pieve Tesino il 3 aprile 1881). Cogliamo ora l’occasione per ripresentare un’altra intervista, quella a Leo Valiani, intellettuale e politico di formazione azionista, all’epoca una delle personalità più in vista del Partito repubblicano. 

“La scelta politica della collaborazione con i partiti laici”: questo il titolo che aveva dato il quotidiano della DC, sintetizzando così il contenuto di una corposa e stimolante conversazione. Vale la pena riscoprirne il messaggio. Infatti, a distanza di 40 anni la testimonianza di Valiani invita ancora a riflettere sulla coerenza di De Gasperi, specie per quel che riguarda la difesa del carattere democratico, e perciò limpidamente antifascista, del nuovo Stato uscito dalla lotta di Liberazione. 

Una coerenza che restituisce pieno valore alla collocazione in ambito riformista di un partito, la DC, che egli propose e sostenne – negli anni cruciali della Ricostruzione – come “partito di centro che muove verso sinistra”. Non un partito, dunque, alla ricerca di un equilibrismo fasullo, come di un centro senza indirizzo e volontà, ovvero senza un preciso indirizzo politico. Dalle parole di Valiani ricaviamo un incoraggiamento. È indubbio che la scelta degasperiana, se rivisitata con spirito creativo nel contesto attuale, implichi uno sforzo di modernità in funzione, per dirla in breve di una nuova sintesi democratica e popolare. Di fatto, aperta a sinistra. [L. D.]

 

A colloquio con Leo Valiani

Il Senatore Leo Valiani, autorevole storico di formazione laico-democratica, è uno dei testimoni più prestigiosi della nostra storia repubblicana. Gli chiediamo di ricordare con noi la «elezione» politica di Alcide De Gasperi.

«De Gasperi l’ho conosciuto personalmente il 5 maggio dei ’45 – ci dice subito il sen. Valiani – quando la delegazione del Comitato di liberazione nazionale “Alta Italia” in cui rappresentavo il Partito d’Azione, si incontrò con il governo nel quale De Gasperi era ministro degli Esteri. Ma, di fama, Io conoscevo già dal periodo dell’Aventino, come uno dei più coraggiosi capi dell’opposizione antifascista. Del resto nel carteggio di Filippo Turati con Anna Kulischova si trova conferma del giudizio molto positivo che Turati dava del coraggio di De Gasperi in una situazione in cui non tutti, purtroppo, brillarono per questa virtù davanti alle minacce armate di squadristi fascisti. Voglio tornare all’incontro del ’45, non solo, ma anche ai due, successivi di una quindicina di giorni, nei quali lo statista democristiano espose il suo programma di governo e, anzi, pose la sua candidatura a capo del governo”». «Dopo quella riunione dissi a un amico del partito d’azione: “Questo governo governerà per cinque anni”. E lo ricordai nel libro che scrissi tre anni dopo sull’avvento di De Gasperi». 

Ci doveva essere. comunque. qualcosa di specifico che In De Gasperi la colpiva… 

“Sì. Il fatto che in quella situazione incandescente si pronunciasse per l’epurazione e le riforme, ma sottolineasse che tutto sarebbe fallito se non si ricostituiva in via preliminare l’autorità dello Stato: voleva uno Stato democratico, ma forte. Questo colpiva perché allora il concetto di Stato forte veniva associato, dopo venti anni di fascismo, alla dittatura. Si pensava che la democrazia non avesse bisogno di uno Stato forte, ma di uno Stato fondato su larghissimi diritti di libertà, di partecipazione delle masse. Lo pensava anche lui ma aggiungeva che doveva essere ugualmente forte, altrimenti si sarebbe finiti nel caos». «Non dimentichiamo che egli aveva vissuto, cosa che era capitata a pochi, in posizione politica eminente, la crisi del primo dopoguerra, quando la debolezza dello Stato aveva generato il fascismo. Molti lo avevano dimenticato e venti anni di uno Stato eccessivamente forte erano serviti a farsi un’idea falsa dello Stato stesso…Invece De Gasperi ricordava il periodo precedente quando lo Stato troppo arrendevole, troppo timoroso di affermare la propria autorità era caduto nell’impotenza davanti all’assalto del fascismo. Questo mi colpì e capii che aveva ragione». 

«Anche Parri aveva un’idea non molto dissimile, ma non aveva né dietro a sé un grosso partito, né aveva forse capito l’urgenza di affermare pubblicamente questo concetto. Lo voleva ottenere forse anche Parri, in modo più graduale, consensuale, invece per De Gasperi bisognava, all’occorrenza, anche imporlo perché il pericolo della disgregazione era troppo forte e credo che questo giocò notevolmente nella sua designazione a capo del governo». 

Non ricorda, Senatore, se allora, all’interno della Democrazia Cristiana, ci fosse chi osteggiava quella designazione? 

«Osteggiare credo proprio di no. C’era forse chi la temeva e fra quelli Don Sturzo per idee sue particolari che le spiego. Ricordo che in quell’occasione andai a trovare Don Sturzo che abitava in un sobborgo di New York. Egli vedeva le cose e le valutava un po’ a volo d’aquila. In pratica temeva che l’assunzione di De Gasperi alla presidenza del Consiglio nuocesse alla DC perché la metteva in posizione difficile nei rapporti con il Vaticano da un lato e dall’altro con i partiti laici che formavano la maggioranza del Cnl, sei partiti dei quali uno solo, la DC, non pregiudizialmente laico, quindi insisteva per la riconferma di Parri». 

«Secondo me in quel momento Don Sturzo non era aggiornato sulla situazione italiana, non sapeva cioè che la DC avanzava cosi impetuosamente che in qualche modo le difficoltà che indubbiamente esistevano nei suoi rapporti sia col Vaticano, sia coi partiti laici, venivano risolte per effetto della sua stessa crescita di massa». 

Una crescita come quella dell’immediato dopoguerra avrebbe potuto tentare, chi la poteva gestire, ad una politica molto meno democratica… 

«Con De Gasperi non poteva capitare, anzi la sua forza credo che fosse la sua capacità di contemperare la crescita di massa della DC – che era indubbiamente l’elemento che gli dava potere – e la riaffermazione dell’autorità dello Stato indipendente dai partiti. Infatti lui andò alla presidenza del Consiglio come candidato dei partiti. Però mentre il potere politico lo voleva interamente per i partiti, non voleva che lo Stato, cioè l’amministrazione, fosse sottoposto ai partiti e, quindi, voleva l’autorevolezza dello Stato indipendentemente dai partiti». «Questo ful il senso del suo governo e la misura in cui si può dire che governò bene». 

Tornando un attimo al problema dello Stato forte, se non ricordiamo male, il partito d’azione. proprio su una proposta, adottò, nel manifesto per il 2 giugno ’46, la richiesta dell’istituzione di una repubblica presidenziale sul modello di quella americana (all’assemblea costituente la sostenne Calamandrei). Non ha mai saputo che cosa ne pensasse De Gasperi? 

«Direttamente no. Però più tardi abbiamo saputo da Gonella che De Gasperi era preoccupato per la redigenda costituzione, che avrebbe pure lui voluto rafforzare l’esecutivo, non so se esattamente attraverso la repubblica presidenziale o attraverso una legge elettorale che non fosse proporzionale, ma maggioritaria. Certo per lui era difficile pronunciarsi perché la proporzionale era una vecchia rivendicazione del suo partito (il Partito popolare di Don Sturzo) fatta nel 1919 sotto il governo Nitti». 

«De Gasperi dovette comunque pensarci parecchio. Infatti, nel ’53 varò il disegno di legge a rappresentanza maggioritaria…». 

Che lei sicuramente giudica…

«…Un errore tattico. Con esagerazione venne chiamata “legge truffa”: era semplicemente una legge fatta nel momento sbagliato. Dalle prime elezioni De Gasperi aveva a disposizione alcuni anni per varare una riforma del genere. Lo ha fatto sotto le elezioni e ha sbagliato. Quella legge elettorale favoriva specificatamente í partiti di governo perché essi potevano apparentarsi e quindi aspirare alla maggioranza relativa…». 

Poteva farlo anche l’opposizione. 

«No. Perché il Partito socialista di Nenni aveva rinunciato a far lista comune con i comunisti. In effetti Nenni, anche in virtù della sconfitta subita nel ’48, aveva tenuto conto delle critiche degli altri partiti e si era sganciato dai comunisti, non interamente come farà dopo la rivolta d’Ungheria nel ’56. ancora non rompendo il patto d’unità d’azione, ma dichiarando che il Partito socialista alle elezioni avrebbe fatto lista autonoma. Comunque, gli stessi partiti di governo si accorsero che la legge sapeva molto di sopruso e aggiunsero la clausola che poi la fece sconfiggere, cioè che ci voleva la maggioranza assoluta degli elettori per convalidarla». 

«Debbo dire che ciò depone a favore della buona fede di De Gasperi. Infatti, se fosse stato un “maligno” avrebbe congelato tutto in modo da far scattare la legge».

De Gasperi comunque non è tutto qui, cioè la sua azione positiva non si limita soltanto al ripristino dell’autorevolezza dello Stato, all’efficienza relativa del governo, ma era anche uomo di visioni strategiche… 

«Sì. La sua visione strategica era quella di guadagnare i socialisti e in generale le forze democratiche di sinistra alla collaborazione con la DC. “Il partito di centro che cammina verso sinistra”: mi pare che questa definizione valga ancora. Ancora oggi è il traguardo che la DC ha avanti a se: non credo che la DC possa essere un partito di sinistra se non a prezzo di gravi perdite del suo elettorato. De Gasperi a questa visione tenne fede anche nei giorni di maggior difficoltà, perché questa “mezzadria’ — così la definì egli stesso — la offrì a Nenni in quelle riunioni dell’estate del ’45 di cui le dicevo all’inizio. Ripeteva l’offerta nel ’46 dopo l’avvento della Repubblica per governare assieme l’Italia. La cosa riuscì per qualche tempo. Poi la situazione internazionale, la guerra fredda, il fatto che Nenni solidarizzasse con il Pci che a sua volta solidarizzava con l’Unione Sovietica di Stalin, ricacciarono i socialisti all’opposizione. Si potrebbe, ora, discutere se allora non si poteva separare Nenni dai comunisti con qualche concessione. Mah…».

Però De Gasperi pensò subito a trovare un’alternativa e la vide in Saragat e nel partito repubblicano di Sforza, Pacciardi e La Malfa. 

E vorrei far notare che lo fece dopo le elezioni del 18 aprile in cui la DC ottenne la maggioranza assoluta. Coerentemente egli volle fare un governo con questi partiti, non solo, ma alla fine, dovendo scegliere, per dissensi su varie riforme, tra liberali e repubblicani, scelse repubblicani e social democratici ». 

E la politica estera di De Gasperi?


«In politica estera De Gasperi ha vissuto due drammi: il trattato di pace e la Comunità europea di difesa (la CED). Il trattato di pace. De Gasperi veniva anche lui da una regione che era vissuta sotto l’Austria e anche se il suo non era un partito irredentista, era, però italiano e difendeva i diritti dell’italianità. Nel ’18 fu quindi felice che il Trentino si ricongiunse all’Italia. Lascio immaginare cosa provò dopo la Seconda guerra mondiale nel dover ratificare con la sua firma un trattato di pace che toglieva all’Italia la Venezia Giulia non solo nelle sue parti slave. ma anche in quelle italiane. E tuttavia si rassegnò, ne vedeva l’inevitabilità ». 

«A questo sacrificio trovò il compenso dell’inclusione dell’Italia nel Patto atlantico. Anche quella non fu per lui un’operazione facile, perché la tradizione del mondo cattolico italiano era la neutralità e non l’alleanza militare: i cattolici erano per il pacifismo (“l’inutile strage!”). Però De Gasperi fu per l’adesione al Patto atlantico ed ebbe la soddisfazione di constatare che questo finiva per costituire un compenso – se così si può dire – per le dolorose perdite che l’Italia aveva subito col trattato di pace: l’Italia fu ammessa al “Patto” sul piede di parità con le nazioni vincitrici». 

«Il secondo dramma: la CED Egli era un europeista convinto, anzi l’Alleanza atlantica stessa l’aveva accettata perché vedeva in questa il veicolo per l’unità europea: se la tradizione cattolica democratica era quella della neutralità, era anche quella del superamento dei nazionalismi e quindi per l’unificazione europea. Quella unificazione che egli mise in moto, almeno sul piano economico, assieme ad altri democratici cristiani (Schuman in Francia e Adenauer in Germania) doveva avere un corollario politico che fu elaborato con il suo concorso: la CED. Questa avrebbe dato al Patto atlantico il suo carattere non di guerra fredda, ma di una forza europea anche militare, che significasse l’unificazione del vecchio continente e che permettesse all’Europa di svolgere un’azione anche moderatrice nei confronti dell’alleato più forte (USA) nei rapporti col rivale, nella minaccia potenziale costituita dell’Unione Sovietica». 

«Fu una reviviscenza del nazionalismo francese che fece naufragare la CED nel ’54, poco prima della morte di De Gasperi, che ne soffri moltissimo. Per due volte una politica estera giusta ma difficile, con le contraddizioni che sempre in essa esistono, gli aveva amareggiato l’esistenza». 

Cosa rende, infine, positivo li bilancio politico di De Gasperi? 

«Sì. Fu positivo per le linee che egli indicò. Ne cito due. La prima fu la scelta di Vanoni alla direzione della politica economica. Con essa indicò la linea della lotta alla disoccupazione. La seconda fu una decisione negativa ma altrettanto importante: il rifiuto dell’operazione Sturzo. La chiamano cosi anche se Sturzo di quell’operazione non ne avesse colpa alcuna. Figuriamoci, un antifascista di quella specie! Comunque egli si trovò nella dolorosa condizione di dover proporre per le elezioni comunali di Roma del ’52 una lista civica che includeva anche l’estrema destra. De Gasperi la rifiutò, mettendosi in urto col Pontefice di allora Pio XII che invece caldeggiava l’operazione». 

«Anche questa era un’indicazione per il futuro: la Repubblica doveva si difendersi da un’eventuale minaccia comunista, fosse o non fosse reale. ma non doveva mai dimenticare le proprie origini antifasciste. E credo che questo sia uno dei motivi, fra gli altri, per cui a tanta distanza di tempo, dobbiamo rendere omaggio a De Gasperi al di là delle critiche che allora gli muovevamo e dei dissensi che possiamo anche oggi stesso avere su certe decisioni o indecisioni da lui prese o non prese». 

 

[Intervista a cura di Alfredo Bettini]