Quel rancoroso giudizio sociale. Stiamo perdendo la mitezza del pensiero e, inavvertitamente, il desiderio della speranza. 

Ognuno ha la sua croce, ma siamo tendenzialmente portati a caricarla sulle spalle degli altri. Chi si esprime con fervore radica convincimenti opposti in chi è costretto ad ascoltare. Ma perché siamo sempre così rancorosi e cattivi?

In questa Italia di veline e demagoghi, di influencer e affabulatori, di indovini e sapientoni sembra proprio che tutti abbiano sempre qualcosa da dire. L’esternazione di opinioni e sentenze a buon mercato è ormai diventata uno sport nazionale praticato in modo del tutto trasversale: tra incapienti ed evasori, caste e tesoretti, trame e raggiri, nefandezze e delitti, gli argomenti per discussioni e commenti ci rendono tutti pervasi da un sacro furore giustizialista, rivelando in molti una insospettata e diffusa vocazione a ricoprire il ruolo del pubblico ministero. La lunga pandemia è stata una ghiotta occasione per sparate e discussioni, molte sciocchezze a idiozie per un argomento serio che doveva far riflettere prima di aprir bocca.

Non sembra aver fatto proseliti l’invito del Duca Prospero ne “La tempesta” di Shakespeare, che nella riabilitazione successiva all’onta dell’esilio e della destituzione, invitava tutti ad essere più indulgenti nelle cose della vita. Ognuno, si sa, ha la sua croce ma perchè siamo tendenzialmente portati a caricarla sulle spalle degli altri? Chi si esprime con fervore radica convincimenti opposti in chi è costretto ad ascoltare. Persino nelle valutazioni delle vicende più dolorose della cronaca quotidiana non rinunciamo a cogliere spunti di presenzialismo e spettacolarizzazione: c’è sempre da puntare l’indice per stigmatizzare qualcosa, per esprimere indignazione e scandalo. C’è un limite al peggio?

Non si riesce più a tacere perchè la democrazia della comunicazione sociale ci rende protagonisti del commento e dell’esternazione. La prudenza del buon gusto e del buon senso non sembra certo ispirare le nostre gratuite valutazioni e si forma ogni giorno la coda per accettare nuove  iscrizioni al partito dei colpevolisti e a quello degli innocentisti, degli ortodossi, dei convertiti e dei negazionisti. Ognuno deve dire la sua: ma è vera giustizia quella che cerchiamo? Mai che un intervistato abbia l’umiltà di ammettere “non mi sento di commentare, non sono all’altezza”. Ma perché siamo sempre così rancorosi e cattivi? C’è forse così tanta differenza tra coloro che insultano il presunto colpevole e il destinatario di questo “dagli all’untore”? O forse c’è intercambiabilità dei ruoli visto che i mostri sono quelli della porta accanto e i “vicini da morire” spuntano dalle ombre della quotidiana normalità?

Anche la Tv – bisogna ammetterlo – fa la sua parte per fomentare questo crescente sentimento di curiosità morbosa e di giustizialismo “mordi e fuggi”: a parte l’oggettività della brutta notizia di cronaca c’è una vera e propria gara nel farne un prodotto di marketing. Via una l’altra, chiodo schiaccia chiodo. “È giusto vaccinare i bambini?”, “secondo voi il tale è colpevole o innocente?”, “ lo smart working  è una tutela per i fannulloni?”, “perché il  Covid continua a circolare?”, “la pandemia non esiste, è tutto un grande complotto?”..: mandate un SMS, la tecnologia vi aiuterà a liberare la vostra coscienza. 

E così inondiamo il web di post e di cattiverie, “nominiamo” i famosi, scegliamo le storie più commoventi, liberiamo palloncini al cielo: un bell’esempio di democrazia partecipativa. Anche i potenti non sfuggono: basta radunare un po’ di gente munita di cartelli e striscioni  e si può intentare un processo mediatico, le telecamere si sostituiscono alle prove, gli studi televisivi alle aule di tribunale. Giorno dopo giorno si alimenta un odio sociale crescente e pervasivo, che alza il tono delle voci, rende frettolosi e superficiali i giudizi e le valutazioni, semina invidia e diffidenza. E così il relativo diventa assoluto, il soggettivo oggettivo, l’opinione una certezza, il dubbio una condanna. In questo ondeggiare tra bene e male, tra polvere e altari, tra ghigliottine e nuove idolatrie si perde e si dissolve il dominio della capacità critica, la mitezza del pensiero, il sentimento della bontà e della comprensione, il desiderio della speranza.