Ringrazio Giuseppe Ignesti per il cortese commento al mio pezzo su Il Domani d’Italia (https://ildomaniditalia.eu/dellai-indica-un-metodo-giusto/), che mi offre la possibilità di precisare qualche punto, ovviamente sempre nell’ottica della comune ricerca di un percorso non facile: trovare le ragioni fondanti per una proposta politica originale e aggiornata per chi si richiama alla tradizione del Popolarismo.

Vorrei dunque prendere in considerazione le sue due osservazioni costruttivamente critiche alla mia piccola riflessione.

Primo. Non vi è dubbio che la tendenza all’individualismo è un “segno dei tempi” e dunque si presenta come una dimensione pervasiva e trasversale nella nostra società.
Nessuna area politica (così come nessun ambito sociale) ne è immune.
Tutte le culture politiche vecchie e nuove ne sono in qualche misura contaminate,
Pensiamo a quanto è accaduto in molti settori della “sinistra”, nei quali abbiamo avvertito la sostituzione dei “diritti sociali” con i “diritti civili”, spesso declinati in maniera, appunto, individualistica, totalmente slegata da ogni considerazione della responsabilità sociale.

Oppure pensiamo alla cultura liberal democratica e a quanto essa abbia in parte smarrito la sua radice antica, fondata su una forte cifra di etica civile ispirata ad una concezione laica di bene comune.
Per non dire di noi. Cosa è stata la stagione della diaspora dei cattolici democratici se non il cedimento alla “individualizzazione” della loro testimonianza in politica?

Non abbiamo più avuto il coraggio e la capacità di testimoniare un pensiero “collettivo” e abbiamo confuso il principio sacrosanto del pluralismo delle opzioni con la comoda accettazione della nostra insignificanza collettiva nella politica. Vale a dire: l’identità culturale ridotta a fatto privato e la politica a fatto puramente pragmatico.

Resta però a mio modo di vedere un fatto dirimente.

C’è chi vive questo processo di deriva individualistica come opportunità e chi, pur in parte subendolo, cerca di superarlo.
La differenza irriducibile tra noi e la destra populista sta qui.
Ciò che per noi è un “problema”, per loro è una dimensione “naturale” di espressione della domanda sociale.

È la differenza tra chi pensa al “carisma” della politica come “sapiente e responsabile guida” della società e chi la vede come puro megafono delle pulsioni sociali, che asseconda ogni naturale istinto delle persone e dei gruppi a ricercare un nemico per rafforzare la propria presunta sicurezza.

Ma noi sappiamo che il messaggio cristiano, benché fondato sulla piena accettazione della natura umana, si pone nell’ottica della sua “liberazione”. E per questo presuppone senso di “non appagamento” e “inquietudine”.
Una politica cristianamente ispirata non può essere solo megafono dell’istinto umano, ma veicolo della sua progressiva evoluzione verso il bene.
E sappiamo che il bene o è comune, oppure non è.
Secondo. Il “personalismo comunitario”.

Dice bene Ignesti: occorre riformulare la nostra idea di “Comunità”.
Come risulta ovvio, io citavo una definizione classica per i cattolici democratici: quella del pensiero di Mounier.
Trovo che questo riferimento sia essenziale.
“Persona” non è “individuo”. E “Comunità” non è “collettività”.
Il rapporto tra Persona e Comunità è “coessenziale”.
Questo assunto ci può aiutare molto di fronte ai cambiamenti sociali, culturali ed antropologici del nostro tempo.
Abbiamo – è vero – una grande sfida etica e culturale: come coniugare l’emergere prepotente dell’istanza individuale (un “segno dei tempi”, appunto, che va riconosciuto e non demonizzato, che viene stimolato dalle nuove tecnologie digitali ed è anche effetto del ciclo storico della secolarizzazione) con un “respiro comunitario” di nuova concezione.

Qualche intellettuale laico parla già di una prospettiva di “post scolarizzazione”.
Papa Francesco parla di un “nuovo umanesimo”.
Su queste lunghezze d’onda si può forse ritrovare uno spartito di grande interesse per declinare in modo inedito il tema della “Comunità”, oltre le forme ormai consumate del ciclo che fu. E oltre ogni nostalgia del passato.
L’organizzazione della società nella quale la nostra idea di “Comunità” è maturata sta lasciando il campo a nuovi paradigmi. Con le loro luci e le loro ombre.

Tutto è più sfumato e meno “organizzabile” secondo le vecchie categorie.
Le reti di appartenenza comunitaria sono meno scontate.
I vecchi simulacri, spesso, sono vuoti nella loro retorica interessata, mentre nuovi importanti giacimenti di spirito comunitario sono nascosti e privi di voce pubblica.

> Se, da un lato, questa realtà in gestazione è il nuovo, vero terreno di “evangelizzazione” per la Chiesa, essa è anche il nuovo campo di applicazione per cristiani che vogliano operare ancora – nella loro laica autonomia e in cooperazione con le persone di buona volontà – per la “promozione umana” attraverso la Politica.