Articolo pubblicato sul sito internet di AGI a firma di 

“Con i ministri in piazza non finisce bene”. Il precedente evocato da Andrea Orlando risale a 13 anni fa: era l’ottobre 2007 quando ministri e sottosegretari di Rifondazione scesero in piazza per reclamare un nuovo welfare. Il governo guidato da Romano Prodi cadde di lì a poco. Giuseppe Conte è, quindi, autorizzato a fare i dovuti scongiuri, anche se in questo caso non c’è una piazza – e ci mancherebbe, vista la crisi in corso e le restrizioni – ma il grado di tensione nella maggioranza è comunque altissimo.

A fare esplodere le polemiche, dopo una ridda di comunicati di parlamentari di Italia Viva – è stato l’ex premier Matteo Renzi che ha messo in rete una Enews particolarmente infuocata nella quale annuncia che chiederà al premier di cambiare il Dpcm appena varato. Nel suo post, Renzi sembra calarsi nei panni del conterraneo Gino Bartali, quando diceva “l’e’ tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Per Renzi, dalle misure sui ristoranti a quelle su cinema e teatri, dalla scuola ai trasporti, il decreto mostra lacune che farebbero pensare a un provvedimento “senza basi scientifiche”

“Mentre si chiedono (ancora) sacrifici, sarebbe molto utile, secondo me, che il Governo ci spiegasse quali sono i dati scientifici e le analisi sui quali si prendono le decisioni: i dati scientifici, non le emozioni di un singolo ministro”, scrive il leader di Iv. In particolare “la chiusura dei ristoranti alle 18” per Renzi “è tecnicamente inspiegabile, sembra un provvedimento preso senza alcuna base scientifica”.

L’attacco del leader di Italia viva è particolarmente duro sulla parte che riguarda la chiusura di cinema e teatri. Il mirino di Renzi inquadra Dario Franceschini, ministro della Cultura e capo delegazione del Partito Democratico al governo: “Mi ha colpito che proprio il Ministro della Cultura abbia giustificato la chiusura dicendo che dobbiamo salvare vite umane. Io dico che basta essere andati al cinema o al teatro, in queste settimane, per capire che non sono posti dove si rischia di morire”.

Parole, quelle di Renzi, che seguono alla presa di posizione del ministro: “Io ho l’impressione che non si sia percepita la gravità della crisi. Non si sia percepito quale sono i rischi dei contagi i questo momento“. A difendere Franceschini è anche il deputato Pd, Enrico Borghi: “Il giorno dopo, sembra che il Dpcm non abbia padri. L’unico che ha avuto la schiena dritta per difenderlo, in un video in cui è consapevole di attirarsi l’ira di un settore ad alta copertura mediatica, è stato il ministro della cultura Dario Franceschini”.

Un attacco frontale al governo e a Conte che, in ogni caso, Renzi sottolinea di continuare a sostenere. Un attacco che arriva, forse non a caso, a pochi minuti dall’intervento di Nicola Zingaretti alla direzione nazionale. Il leader dem capisce che il momento non consente tentennamenti o diplomazie e risponde con decisione: “Avere i piedi in due staffe in questo momento è eticamente intollerabile”.

Un giudizio, dunque, che va oltre quello politico e investe la sfera etica. Perché, spiega ancora Zingaretti, “siamo in un tornante drammatico della storia d’Italia. Vedo molti distinguo da parte di esponenti di governo o di forze di maggioranza, addirittura iniziative politiche che reputo incomprensibili: penso non siano mai stati seri quei partiti che, la sera, siedono ai tavoli del governo e la mattina organizzano le opposizioni alle decisioni prese“. Poi, il segretario rivolge all’alleato parole di solito riservate ai leader di opposizione: “Alla rabbia e alle paure vanno date risposte, non cavalcarle”.

Paure come quelle manifestate dal ristoratore di Treviso la cui fotografia, che lo ritrae accasciato su una sedia all’esterno del suo locale, è divenuta ormai il simbolo della sofferenza di molti imprenditori. “Dobbiamo raccogliere la preoccupazione e la disperazione di quell’imprenditore e dire che siamo noi che vogliamo tornare a vivere. Dobbiamo accompagnare fuori dalla solitudine l’imprenditore di Treviso, ma anche quello di Palermo, di Roma o Napoli. Fino a che la scienza non avrà vinto dobbiamo resistere e aiutare”.

“Tre dpcm in 11 giorni sono tanti. Mi auguro di no a livello nazionale ma non escludo che a livello regionale possano essere necessarie delle chiusure in aree o settori precisi”, ha detto il ministro Spadafora facendo autocritica. Ma il confronto nel governo resta aperto

Di fronte al ‘fuoco amico’ proveniente dalle fila di Italia Viva, Zingaretti gioca la carta della condivisione, chiamando al tavolo anche le forze sociali e le opposizioni. La posta in gioco, d’altra parte, è fin troppo alta perché sia solo la maggioranza – o parte di essa – ad assumersi l’onore e l’onere delle scelte da prendere. “Serve un nuovo clima per salvare il bene comune”.

“Noi dobbiamo in fretta verificare se si può trovare un punto di convergenza più alto per salvare la situazione. Per questo è importante coinvolgere davvero le forze sociali, con i corpi intermedi. E anche le opposizioni politiche: dobbiamo trovare le forme per far compiere un passo in avanti al rapporto fra maggioranza e opposizioni”. Certo, “non si può chiedere alla maggioranza di dichiararsi sconfitta, perché non è vero”, sottolinea Zingaretti: “Ma non si può chiedere all’opposizione solo di condividere o sottoscrivere le decisioni prese dalla maggioranza. Serve un punto di equilibrio”.

Una soluzione che tornerebbe utile anche a disinnescare i renziani in una fase in cui le scelte che la otta al coronavirus impone promettono di non bissare l’effetto ‘tonico’ sul governo visto con la prima ondata, come sembra sottolineare anche Maurizio Martina: “Tutte le forze politiche hanno l’imperativo categorico di lavorare insieme ora, ciascuno dalle proprie posizioni di maggioranza o minoranza. Nessuno può pensare di lucrare elettoralmente da una situazione senza precedenti come questa”.