Un dato è indubbio: quando la prassi trasformistica fa irruzione nella dialettica politica, sono destinate a cambiare le stesse categorie della lotta politica. Per spiegarmi con parole più semplici, la categoria della “coerenza”, ad esempio, pur sempre opinabile, è destinata ad essere sacrificata sull’altare del cosiddetto realismo politico. E l’alleanza innaturale, per usare un termine nobile, tra il Pd e il partito di Grillo e Casaleggio rientra a pieno titolo nella cultura e nella prassi del trasformismo politico italiano. 

Ora, è altrettanto indubbio che uno scenario del genere genera riposizionamenti politici e, soprattutto, innesca processi di formazione di nuove soggettualità politiche. Cosa che, puntualmente, sta già avvenendo. Ed è proprio all’interno di questo filone che si inserisce anche il ruolo, la presenza, la funzione e la prospettiva di una realtà piccola, anche se importante, come il movimento nazionale dei cattolici democratici e popolari che va sotto il nome di Rete Bianca. 

Ci sono alcune costanti, seppur in un contesto profondamente trasformistico, che fungono comunque da paletti per capire la prospettiva di un movimento politico e culturale come Rete Bianca. Semprechè non ci si vuole ridurre a giocare un ruolo puramente testimoniale e, di conseguenza, politicamente e pubblicamente irrilevante. 

Innanzitutto coltivare una prospettiva puramente identitaria è, oggi, semplicemente una strada impraticabile e politicamente sterile. Potrei citare decine di tentativi elettorali a livello europeo, nazionale e regionale per arrivare alla semplice conclusione che si è trattato di una sequela di sconfitte brucianti e senza appello. Una strada, quindi, perdente e senza sbocchi. Piaccia o non piaccia. 

In secondo luogo dev’essere chiara l’opzione antisovranista. Senza, però, evocare ridicoli e grotteschi pericoli fascisti, dittatoriali, sudamericani e simili amenità. Forse è giunto anche il momento, seppur in un contesto marcatamente trasformistico, di separare la propaganda goffa e patetica dalla politica ragionata e consapevole. 

In terzo luogo un movimento come Rete Bianca non può essere estranea ed insensibile a chi, nel campo democratico e riformista, si pone il problema di dare voce e rappresentanza ad interessi sociali, mondi vitali, categorie professionali e settori crescenti della pubblica opinione che semplicemente oggi non si sentono rappresentati. Vogliamo chiamarli sbrigativamente di “centro”? Vogliamo definirli riformisti e non di sinistra? Vogliamo definirli come coloro che si oppongono ad una deriva trasformistica ed allegra della politica italiana? Pensiamo a milioni di persone che si limitano semplicemente a chiedere una politica seria, trasparente, credibile e culturalmente orientata e che persegua il buon governo? Le domande possono essere tante ma la risposta non può che essere una: e cioè, adesso forse arriva il momento della scelta politica. Anche per un movimento come Rete Bianca. Fuorchè, lo ripeto, non ci si rassegni a giocare un ruolo testimoniale, prepolitico,di mera formazione di coscienze e quindi insignificante. Ma questo non rientra, credo, nella tradizione, nella cultura e nella storia del cattolicesimo democratico e popolare del nostro paese.