“Vorrei dare a ciascuno di voi i miei occhi per farvi vedere cosa eravamo e cosa siamo oggi: solo così potete essere responsabili del vostro presente ed immaginare un futuro sempre migliore…”.

Con queste parole il presidente Emilio Colombo, del quale ricorre il centenario della nascita, ricordava gli inizi della sua attività politica, in quel crinale storico tra la fine della seconda guerra mondiale e l’inizio della ricostruzione in Italia, uscendo dal terribile periodo fratricida della guerra e non meno cruento della lotta antifascista. Ricordare il presidente, col quale ho avuto amicizia lunga e feconda è per me motivo di commozione e di onore: egli è stato un vero e grande statista, tra i pochi che l’Italia abbia veramente avuto, e parte di quella generazione di uomini politici che hanno costruito la democrazia, realizzato la Costituzione repubblicana, promosso il miglioramento etico e sociale del nostro paese.

Emilio Colombo nacque a Potenza l’11 aprile 1920 e la sua carriera politica inizia ufficialmente nel 1946 con l’elezione all’Assemblea Costituente, grazie a oltre 21 mila voti di preferenza. Tuttavia il suo retroterra e la sua formazione sociale sono piu remoti. Sin da giovanissimo partecipa alle vicende del mondo cattolico, addirittura adolescente, negli anni non facili successivi alla Conciliazione. Il mondo cattolico aveva raggiunto con il Concordato del 1929 una “tregua” con lo Stato, ormai stabilmente dominato dal fascismo, ma non una vera e propria armonia regnava tra questi due mondi. Il fascismo voleva il pieno controllo, soprattutto della formazione dei giovani, per imporre loro un totalitarismo di fatto pagano al quale la Chiesa non poteva offrire il suo assenso. È in questo clima che si forma la coscienza civile del giovane Colombo, una coscienza che sarà sempre irrorata dai principi della Dottrina sociale della Chiesa. 

Il Partito Popolare era un ricordo lontano e il suo fondatore don Luigi Sturzo, ormai da anni in esilio all’estero, pressochè sconosciuto ai giovani anche delle associazioni cattoliche. Vi era solo uno strumento, un canale attraverso il quale poter far sentire la voce dei cattolici non allineati col fascismo: l’Azione Cattolica. Proprio grazie al Concordato del ’29 essa aveva – diciamo – una certa autonomia, pur non potendo svolgere alcuna azione di sensibilizzazione politica. Non mancarono gli attriti al punto che S.S. Pio XI appena due anni dopo, nel 1931, si vide costretto a pubblicare una lettera documento, ”Non abbiamo bisogno”, con la quale avvertiva il fascismo e in particolare Mussolini che la Chiesa non avrebbe consentito silente l’indottrinamento pagano dei giovani alle liturgie del regime. 

In quegli anni Colombo giovanissimo conosce la figura di Paolo Pericoli, detto dalle iniziali “Papà Pericoli”, una figura mitica in quel periodo: il primo vero formatore di giovani in anni così difficili. Ma l’incontro fondamentale nell’adolescenza lo compie proprio in Azione Cattolica, nella quale aveva iniziato a militare. Durante un corso di formazione, intorno agli anni ’35-’36, incontra il Presidente della GIAC, il prof. Luigi Gedda(1902-2000) che si accorgerà ben presto del talento di quel giovane longilineo, studioso e riservato, ma con tanta passione e dai valori etico-sociali assai profondi. 

Negli anni quaranta, precisamente nel 1942, Gedda fonda la Società Operaia per l’evangelizzazione dei laici intorno al culto del Getsemani e Colombo sarà interessato da questo primo sodalizio religioso di soli laici. Ma arrivano gli anni della guerra e l’assolvimento degli obblighi militari, ma anche il conseguimento della brillante laurea in giurisprudenza. Proprio sul finire della guerra, già trasferitosi a Roma, viene nominato insieme ad Agostino Maltarello, segretario della GIAC, carica che Gedda crea appositamente per loro dato che non esisteva fino ad allora negli statuti dell’organizzazione. 

Il legame tra Colombo e il mondo associativo cattolico sarà fortissimo per tutta la vita. Ma l’incontro del “risveglio” politico era avvenuto qualche anno prima: nell’estate del 1943 in quell’anno cosi drammatico, a Camaldoli giovani cattolici e dirigenti del mondo delle associazioni si erano riuniti dal 18 al 24 luglio in quella località del Casentino per discutere che cosa sarebbe stata l’Italia e il mondo una volta fosse finita la guerra. L’incontro a cavallo tra il primo bombrdamento di Roma e il crollo del fascismo fu sollecitato da mons. Giovanni Battista Montini, oggi S.Paolo VI, e dal domenicano padre Mariano Cordovani, nominato nel 1942 da Pio XII Teologo della Segreteria di stato. Ne scaturì il cosiddetto “Codice di Camaldoli”, detto allora “Per una comunità cristiana”. Un documento formidabilmente moderno il quale insieme alla scelta che l’anno dopo Pio XII avrebbe compiuto col Radiomessaggio natalizio intitolato “Il problema della democrazia” e con il messaggio natalizio dell’anno prima contro i totalitarismi, spianò la strada al consenso delle gerarchie per un rinnovato impegno dei cattolici in politica.

Nei tanti colloqui avuti negli anni con Colombo, egli mi ripeteva spesso che proprio il Codice di Camaldoli, le intuizioni in esso contenute, avevano colpito lui e gli altri giovani anche presenti all’incontro stesso. Il documento “Per una comunita cristiana” venne redatto dal giovane Sergio Paronetto, che purtroppo scomparve appena 34enne nel 1945. L’impatto fu dirompente. Nel Codice di Camaldoli prendeva forma il concetto di “comunità politica”, già espresso da S. Tommaso e soprattutto approfondito da Emmanuel Mounier.

Comunità politica non è la semplice società tra eguali, bensì un contesto non casuale di soggetti sociali che si riconoscono nella promozione della “persona”. Questo sara il

 che animerà la redazione della Costituzione Repubblicana, alla quale Emilio Colombo darà il suo fondamentale contributo nella discussione soprattutto dei principi basilari: il concetto di “persona” espresso nell’articolo 2 (“…lo stato riconosce..”) antepone l’uomo coi suoi diritti alla tutela di essi da parte dello Stato. Un capovolgimento a 360 gradi della visione neoidealistica che aveva reso possibile persino il fascismo nell’architettura costituzionale dello Statuto Albertino, nel quale non si parlava MAI di cittadini ma di sudditi! 

Inevitabile riconoscere, in sostanza, l’incontro con la Democrazia Cristiana che De Gasperi aveva fondato nel ’42 riuscendo a realizzare un capolavoro di mediazione politica tra le varie componenti sociali politiche e culturali del mondo cattolico.

In un bel volume pubblicato poco tempo prima della scomparsa, ”Per l’Italia e per l’Europa”, Colombo ripercorrendola a mo’ di conversazione con l’amico Arrigo Levi, ricordava la sua vita politica, soffermandosi su alcuni aspetti importanti collegati fra loro dal concetto di “sintesi” che deve animare sempre la vita politica e soprattutto il progetto politico. E proprio questo progetto lo troverà nella proposta politica di Alcide De Gasperi, al quale come spesso ricordava ”…ho dato sempre del Lei, come anche a Togliatti”. 

La figura e il prestigio di De Gasperi sono l’altro versante che contribuisce a delineare la statura politica del giovane Colombo: l’idea delle coalizioni, la politica come mediazione, l’incontro e lo scambio con le altre esperienze politiche e soprattutto l’idea dell’Europa!

Il legame con la sua terra resterà sempre fortissimo, la sua Basilicata che egli ha restituito all’Italia e ne ha condotto lo spessore delle tradizioni e della cultura anche in Europa e nel mondo. La carriera lunga e illustre di questo Padre della Patria non può certo essere raccolta nelle poche righe di questo modesto anche se sincero ed affettuoso ricordo. Mi limiterò a passare in rassegna solo alcune parti, per me molto significative. L’inizio degli anni ’50, il coraggio che la Democrazia Cristiana e le coalizioni centriste dei governi De Gasperi mostrarono nel varare la riforma agraria, si sente anche in Basilicata. 

Togliatti aveva scritto un articolo molto duro su “L’Unità” intitolato “Matera, vergogna d’Italia”, evidenziandone l’arretratezza e le condizioni precarie di vita. Proprio a seguito di una visita che De Gasperi compì in quella terra, Colombo giovane sottosegretario al ministero dell’agricoltura, promosse la cosiddetta “legge dei sassi”, che erano antichi monasteri pressochè caverne dove la povera popolazione materana viveva da decenni. In virtù di quella legge ben 14.000 persone ebbero per la prima volta una casa e questo fu merito di Emilio Colombo.

La sua illustre carriera di ministro dalla metà degli anni ’50 si caratterizza per la permanenza al ministero dell’industria, delle finanze, ma soprattutto lungamente del tesoro, dove egli, giurista, seppe individuare attraverso figure di alto prestigio quali Ferdinando Ventriglia e Guido Carli, una politica accorta di stabilizzazione economica, dimostrata anche dalla famosa lettera all’allora presidente del consiglio Moro nell’estate 1964 sul pericolo di sforamento della spesa pubblica. Presidente del consiglio dal 1970 al ’72, biennio difficile tra tentativo di golpe borghese e rivolte in Calabria, volle promuovere la nascita dell’università della Calabria e Lucania, non trascurando mai la sua vocazione europeista e contribuendo a riportare indietro la Francia dalla cosiddetta politica della sedia vuota, fino diventare  sul finire degli anni ’70 Presidente del Parlamento Europeo.

Non va neanche trascurata la sua significativa presenza al ministero degli esteri in due periodi delicati – inizio anni ’80 e inizio dei ’90 – quando riuscì a varare gli accordi Colombo-Genscher, con i quali si pacificò e riorganizzò la situazione mediorientale. 

Lo spessore politico di Emilio Colombo fu anche uno spessore culturale,non nel nome di una unità di classe o di lotta ma di solidarietà, giustizia e libertà per tutti perchè al centro vi è sempre il valore irrinunciabilmente ontologico della persona.

Quale insegnamento ricavare dall’esperienza e dal ricordo di Colombo che ci ha lasciato ritornando alla casa del Padre il 24 giugno 2013: credo l’impegno oggi a superare relativismo e individualismo, oltre ogni contrattualismo, perchè l’ordine della politica non va costruito sull’affermazione dell’individuo e sul prevalere dell’economia nei rapporti umani o sul potere del più forte nella sfera del diritto. Ma credo che ricordare uno statista di questo calibro che venne insignito, tra i pochissimi ad esserlo, del premio Carlo Magno e del premio Monnet, oltre a ricevere il laticlavio a vita e reggere la presidenza dell Istituto Giuseppe Toniolo per diversi anni, significhi adoperarci affinchè una migliore articolazione delle società intermedie consenta una piena convivenza democratica e il superamento di ogni divisione di sesso, razza, religione, per una società non fondata su sovranismi, populismi e ideologie, ma sul dialogo e la sintesi che sono alla base di un vero ed efficace pensiero politico.