Il mondo che ci aspetta al termine dell’emergenza sanitaria, sarà probabilmente diverso rispetto a quello che abbiamo lasciato alle nostre spalle. Sul Domani d’Italia, sono stati affrontati in questi giorni diversi aspetti del problema. Molte cose cambieranno, come è inevitabile durante una epidemia di portata globale, quale quella che stiamo vivendo. In questa situazione, ripartire come se nulla fosse accaduto rischia di esporci a dei rischi. Ecco perché è importante provare a lanciare lo sguardo oltre l’orizzonte dei prossimi mesi per identificare con chiarezza i contorni del mondo che vorremmo ricostruire.

In particolare, possiamo pensare a un nuovo modello di sviluppo incentrato sulla conoscenza, l’educazione e la solidarietà e basato su una profonda consapevolezza dell’importanza della Comunità. In una recente intervista al quotidiano Le Monde, il filosofo Edgard Morin ha parlato di uno dei mali del nostro tempo, l’individualismo: «una concezione egocentrica dell’individuo portatore di ogni sorta di diritto e che si crede proprietario del mondo; il fantasma di un essere che ha perso ogni affiliazione, al suo popolo, alla sua storia, alla sua famiglia, al suo genere; ipnotizzato dalla più assurda delle false promesse: tu puoi scegliere di essere quello che vuoi, puoi essere il creatore di te stesso».

Il mondo cambiato dall’emergenza sanitaria, con miliardi di persone confinate da settimane nelle loro abitazioni, ha contribuito a far riscoprire a tutti il valore fondante della solidarietà. Ciascuno di noi, proprio perché è isolato, sente di non appartenere più solo a se stesso ma si sente “parte” di una comunità più ampia: l’unità nazionale. Ci riferiamo anche allo sforzo di non dividere il corpo sociale e di condividere sacrifici e cambiamenti, comunicandoli in modo corretto. Un Paese più uguale socialmente, che si ponga come obiettivo la riduzione dello spread tra ricchi e poveri, sarebbe più unito e dunque meno disposto a correre pericolose “avventure” politiche.

Un Paese più territorialmente coeso, senza il pasticcio di ordinanze e protezionismi regionali che stiamo vedendo, questa nuova divisione tra Nord e Sud, sarebbe certamente più unito e questo disarmerebbe chi spera di consumare quotidiani regolamenti di conti elettorali. Un Paese in cui tutte le istituzioni (a cominciare dal Governo) cerchino ogni giorno il dialogo e la condivisione delle scelte, molto più di quanto non avvenga, sarebbe più unito e meno esposto all’influenza dei soliti demagoghi.

In futuro non si potrà affrontare nessuna grande scelta economica, che si tratti di un prestito internazionale o di un investimento pubblico, di indebitarsi con i mercati o con gli italiani, se metà della politica è sempre pronta a sparare a zero sull’altra metà.
Un Paese più unito nel rapporto con Bruxelles e con i suoi partner in Europa, avrebbe maggiore potere negoziale (senza dover “battere i pugni sul tavolo”) e più possibilità di non rinchiudersi in un nazionalismo sempre in agguato, come insegna la gestione mondiale della crisi post 1929. L’ordine dei fattori nella triade dei valori della rivoluzione francese uscirà inevitabilmente capovolto dall’emergenza sanitaria. Per salvare la libertà, stavolta avremo bisogno di ripartire dalla fratellanza.