Roma, agosto 1854: la grande epidemia di colera e la missione di Pio IX

Venerabili Fratelli, sapete benissimo come i popoli cristiani siano afflitti e sconvolti o da cruentissime guerre o da dissidi intestini

Probabilmente, il 1854 fu uno degli anni più drammatici della storia recente di Roma. Fu anche il periodo più delicato e forse più importante dell’intero pontificato dell’ultimo Papa Re, Pio IX.

In estate fece un caldo torrido, e l’Europa, caratterizzata da un forte aumento demografico e da un crescente traffico commerciale transoceanico, fu investita da una gravissima epidemia di colera (allora denominato anche “morbo asiatico”) che giunse sino a Roma. Il primo caso fu registrato in giugno, poi ne seguirono diversi altri, di cui la maggior parte curati presso il Santo Spirito, a Lungotevere in Sassia. Agosto fu il mese più critico: da semplice focolaio, il virus si diffuse progressivamente, infettando migliaia di persone e mietendo decine di vittime. Fu allora che Papa Mastai Ferretti diede sfoggio di coraggio e di una non comune pietas umana, degna del mandato che gli era stato affidato e del ruolo che ricopriva. Il 22 agosto visitò gli ammalati del Santo Spirito, e il 30 si recò al San Giovanni, dove assistette una donna contagiata da colera sino ai suoi ultimi istanti.

Come la maggior parte del mondo cattolico di allora, il papa aveva un’idea spirituale ben precisa delle malattie e dei fenomeni naturali che colpivano così duramente la comunità, ed era quella legata alla punizione che l’umanità aveva attirato su di sé a causa dei suoi peccati e delle sue ingiustizie. Parliamoci chiaro: oggi, negli anni Duemila, la concezione di castigo divino è ancora viva negli animi dei cattolici, ma certamente un paio di secoli fa, quando i mezzi a disposizione della scienza e della medicina erano tanto modesti quanto inappropriati (gli unici rimedi usati erano la quarantena e i disinfettanti), diveniva spesso preminente e considerata, per l’appunto, quasi come un’espiazione. Pio IX ne parlò nella sua enciclica Apostolicae nostrae del 1° agosto del 1854. Eccone uno stralcio:

 

[…] Venerabili Fratelli, sapete benissimo come i popoli cristiani siano afflitti e sconvolti o da cruentissime guerre o da dissidi intestini; o da morbi pestiferi, o da violenti terremoti o da altri gravissimi mali. Questo soprattutto riempie di dolore: che fra tanti lutti e danni mai abbastanza pianti, i figli delle tenebre, che nella loro generazione sono più cauti dei figli della luce, di giorno in giorno si sforzano sempre più, con ogni inganno, arte e preparazione, di condurre una guerra durissima contro la Chiesa cattolica e la sua dottrina salvifica; di stravolgere e distruggere l’autorità d’ogni potere legittimo; di indurre al male e corrompere le menti e gli animi di tutti; di propagare il veleno mortale dell’indifferentismo…[…].

La lettera esortò i fedeli a deporre il peso dei propri peccati tramite la penitenza, chiedendo a Dio di perdonare la nequizia [sic] degli uomini e le loro violazioni. L’allusione alla collera divina è percepibile, benché ogni riferimento alla volontà dell’Onnipotente – sosteneva Pio IX – era fuori luogo in quanto egli rappresentava esclusivamente il bene e l’amore e non certo una sorta di odio punitivo.

A fine 1854 a Roma si contarono i morti di colera : il loro numero superò abbondantemente la cifra delle mille unità. In realtà, i comuni della penisola interessati dalla pandemia furono circa ben 400, motivo che spinse i governi dei vari stati e le autorità sanitarie, nel giro di pochi mesi, a prendere i provvedimenti più ovvi: progettare un sistema di fognature che convogliasse gli scarichi il più lontano possibile dai centri abitati.