Assume contorni sempre più chiari la questione di un nuovo partito riformatore, a forte vocazione democratica e popolare. Mentre si sfilaccia l‘iniziativa del mondo cattolico ufficiale o semi-ufficiale, su un altro piano, indipendente ma non conflittuale rispetto a quello del magistero sociale della Chiesa, si va consolidando la volontà di dare sbocco adeguato alla frustrazione dell’elettorato intermedio, né di destra né di sinistra, oggi nascosto in gran parte nelle pieghe dell’astensionismo.

A riguardo, il coordinatore nazionale dei comitati civici renziani, Ettore Rosato, è andato oltre l’allusione un po’ stantia alla possibile fuoriuscita della minoranza, giusto per creare una nicchia di resistenza fuori dal Pd. Le sue parole, riprese ieri dal “Messaggero” di Roma, sono state precise e finanche impegnative. “Fare un partitino – ha dichiarato – non interessa nessuno. Fare una cosa seria, un’operazione tipo Monti a due cifre, quella è un’altra cosa”. Poi ha voluto aggiungere: “Non vuol dire che ci puntiamo, lo dico per far capire il senso. Se operazione ha da essere, vuol dire che riesce a intercettare qualcosa che nel Paese c’è, e che quindi rimette in moto tutto il quadro politico, rimescola le carte”.

Ecco, non siamo più ai balbettii sulla scissione, cioè a quel fraseggio insipido che dopo l’elezione di Zingaretti ha zavorrato, nel Pd e fuori, il dibattito sulle nuove esigenze e prospettive dell’area autenticamente riformista. Rosato fa un passo avanti. Prende di petto la questione e ne trae le conseguenze: senza una sincera e valida ambizione, distante anni luce dalla logica del partitino, non prende forma nessuna proposta di cambiamento capace di convincere ed emozionare. Questa è la sfida che l’avanzata dei populismi – avanzata vittoriosamente rappresentata in Italia dall‘intesa di governo tra Lega e M5S – impone a tutti i sinceri democratici.

Dunque, l’operazione sembra oramai in procinto di forzare gli argini. Possiede insieme elementi di forza e di debolezza, perché combina sotteraneamente un’istanza sociale, di per sé positiva e interessante, con l’inquieto autarchismo della politica renziana. È un nodo, questo, da sciogliere con cura. Un nuovo partito, oggi necessario più che mai, può trovare solo nella rigenerazione di una vera “sintesi popolare” – identità, programma, radicamento sociale – il suo fondamento di legittimità. C’è uno spazio politico, ma va occupato in forza delle idee e non per effetto di prove muscolari. Il Paese è stanco, si avverte il suo ostracismo verso disegni fumosi o spericolate avventure. Serve al contrario, nel lessico piû caro alla sensibilità dei cattolici democratici, la suggestione di nuove “idee ricostruttive“.