Due fatti hanno segnato, in questi giorni, una accelerazione nel dibattito intorno al ruolo sociale e politico dei “popolari di ispirazione cristiana” in Italia. Il primo è l’uscita del “Manifesto Zamagni”, il secondo è l’intervista al Corriere della Sera del Cardinale Ruini.

Il Manifesto Zamagni rappresentanza la base culturale per un possibile percorso di rigenerazione innovativa di una presenza politica “autonoma” (benché non certo neutra nello scontro in atto nella società rispetto ai rischi della destra sovranista).

L’intervista del Cardinale Ruini rappresenta esattamente il contrario.

Così come negli anni novanta con Berlusconi, il Cardinale invita nella sostanza a dialogare con Salvini. Della serie: meglio una destra che garantisce almeno qualcosa nella difesa della simbologia cristiana piuttosto che progetti animati da cattolici “adulti” che si misurano laicamente con le sfide della modernità.

La vera differenza tra le due prospettive non riguarda solo il rapporto con la destra di Salvini. Riguarda qualcosa di molto più importante: la sussistenza o meno di un ubi consistam “di” (non “dei”) cristiani orientati a testimoniare nella politica – e dunque sul piano della laicità costituzionale – una visione coerentemente ispirata ai loro valori di fondo. In altre parole, la sussistenza o meno di una potenziale, spendibile, riconoscibile attualità della cultura politica del Popolarismo di ispirazione cattolico democratica. Poco importa, in questo senso, se tradotta in un Partito a matrice identitaria o collocata in un eventuale contenitore plurale.

Il Cardinale parla della “scristianizzazione” della società italiana. E da ciò deriva la sua posizione.

Sembra rassegnato ad una prospettiva nella quale la difesa di una visione della società viene affidata solo alla capacità “negoziale” della gerarchia ecclesiastica con il Potere. Si coglie in questa analisi una sfiducia senza appello nella capacità del laicato cristiano di operare per quel “nuovo umanesimo” più volte evocato da Papa Francesco.

Il Manifesto Zamagni parte dal presupposto contrario: è proprio nelle pieghe della società italiana che si può trovare il vero giacimento di risorse umane, culturali, sociali e anche politiche per costruire una “Proposta” al Paese.

Non un Partito Cattolico (e men che meno un Partito dei Vescovi), ma un soggetto (si dovrà vedere poi come declinato in termini di “forma partito”), capace di interpretare laicamente la domanda di Democrazia Comunitaria, di Nuovo Umanesimo, di Ecologia integrale e di Equità: sfide attorno alle quali oggi, in Italia ed in Europa, si gioca il futuro delle nuove generazioni e il senso stesso della nostra democrazia.

Tutto si può dire di questo Manifesto e sopratutto di come è stato maldestramente interpretato nelle prime uscite mediatiche, con l’idea che esso segni già la costituzione di un Partito, frutto di convergenze vecchio stile di spezzoni consunti e nostalgici di antica classe dirigente: se così fosse non avrebbe futuro.

E tuttavia non si può non cogliere un elemento. Esso indica una delle due alternative alla fase attuale di insignificanza della nostra cultura politica. L’altra è quella indicata dal Cardinale Ruini.

Tertium non datur. Almeno nella situazione attuale. Superfluo che aggiunga a quale delle due prospettive vada la mia preferenza.