SALA e DI MAIO S’incontrano in privato ma SINDACO e MINISTRO proiettano in pubblico la loro ricerca di spazio.

Riunione riservata, ieri mattina, in casa del sindaco di Milano. Alla fine dell’incontro nessuna dichiarazione. Il rischio è che tra il Primo cittadino e il Ministro degli esteri non venga fuori una proposta davvero attrattiva sul piano elettorale.

La notizia non è giunta inaspettata. Da giorni si parlava di questa possibile mossa, dopo che Sindaco e Ministro nulla avevano fatto per smentire l’esistenza di una crescente simpatia politica. A New York, circa un mese fa, l’approccio iniziale: entrambi in USA, per l’ONU, pare abbiano tratteggiato nell’occasione lo schema di questo dialogo impegnativo. Dovrebbe essere la piattaforma capace di aggregare altre disponibilità, dalla Gelmini alla Carfagna, per inventare un nuovo centro.

In verità, Sala non ha interesse – ripete in continuazione – a qualificarsi come artefice di tale operazione centrista. Non gli piace e non gli appartiene. Di fatto, confida sull’evenienza di un rimescolamento di carte, anche al centro, con l’obiettivo finale di rafforzare lo schieramento progressista. Non si sa con quali affidamenti 

Carlo Calenda (Azione) ha subito reagito con fastidio scrivendo su twitter: “Davvero mi sfugge come Beppe Sala possa anche solo pensare che un tandem con Di Maio porti qualche beneficio a lui o al Paese. Il centro come ricettacolo di ogni trasformismo – ha aggiunto – non è un progetto politico, ma un ufficio di collocamento. Di quelli gestiti dai navigator”. Sulla stessa lunghezza d’onda si è trovato Benedetto Della Vedova, per il quale, evidentemente, il centro alleato del PD non raccoglie grande entusiasmo. Perlomeno non lo raccoglie, nel pensiero degli ex radicali di +Europa, tra quanti sono propensi a una vera battaglia di modernizzazione del Paese.

Che impressione si ricava dall’iniziativa del tandem Sala-Di Maio? Certamente è un fatto che merita attenzione, se non altro perché stiamo parlando del Sindaco della città motore del Paese e del Ministro fuoriuscito dal M5S in chiave di ripudio del populismo. È però necessario un distinguo laddove fosse chiaro che l’unica ambizione concreta fosse quella di aggregare alla rinfusa, senza un progetto chiaro, i frammenti di un elettorato insoddisfatto. Alla fine, c’è anche il rischio che l’operazione imploda, lasciando detriti sul campo. 

Accade talvolta che una minoranza attiva, con personalità capaci di accarezzare il sentimento popolare, invece di conquistare il proscenio della politica si avviti nella logica della testimonianza a basso regime. Partire infatti con l’idea di essere minoranza, per poi diventare un gruppuscolo solitario e pretenzioso – non importa se di centro – è quanto di più deludente. D’altronde, non si capisce al momento quali siano le ragioni che giustifichino la formazione di un nuovo partito nel quadro del rinascente centrosinistra. Senza basi solide, idealmente forti, non si edifica nulla di attendibile e duraturo.