“Mai ha voluto parlare e ancor meno “utilizzare” l’aggressione brigatista. Legislatore di massimo rango. Militante della politica sana sino agli ultimi suoi giorni. Per me un grande amico”. Queste le parole che ieri, diffusa la triste notizia, ha messo per iscritto Pierluigi Castagnetti. Di Tedeschi vogliamo ripubblicare un ampio stralcio della relazione da lui tenuta al convegno su Adriano Olivetti. Un progetto dell’«abitare» tra realismo e profezia. Per un nuovo dialogo tra etica, bellezza e tecnica (Milano 2 dicembre 2011).
Intervento
Sono stato prima un tecnico, poi un quadro dell’Olivetti Bull e della Divisione Elettronica Olivetti successivamente.
Ho avuto la fortuna e l’opportunità di essere assunto dall’Olivetti Ing. C. Olivetti e C. di Ivrea il 3 Maggio del 1954, nel pieno dello sviluppo dell’Azienda e nell’esplosione delle attività multiple dell’Ing. Adriano. Un’impressione iniziale difficile da comunicare per me che venivo dal Polesine e dall’Istituto Ing. Ferruccio Viola di Rovigo. Avevo lavorato con mansioni varie nello Zuccherificio di Badia Polesine e soprattutto all’Ima (Industria Macchine alimentari), di Verona. Paghe e stipendi erano bassi, appena sufficienti per vivere modestamente lontani da casa e quindi in pensione, sia pure con un tipo complessivo di vita non confrontabile con la vita dei braccianti e salariati agricoli della val Padana, almeno fino a qualche anno dopo la seconda guerra Mondiale.
Prima dell’Incontro con Olivetti, avevo fatto parecchi esami con altre aziende, Fiat compresa. Nulla di confrontabile allora con Olivetti, sia come stile aziendale, approccio umano nel senso del rispetto della persona, livello economico anche nelle manifestazioni più banali. Qualche anno prima dell’incontro con Olivetti, da noi nel Polesine c’era stata la rottura degli argini del Po ad Occhiobello con oltre centomila migranti soprattutto nell’area di Milano e Torino. Gli esami di selezione per entrare in Olivetti li ho svolti, ricordo ancora, con gli Ingegneri Zannini e Tuffarelli, giovani dirigenti della grande azienda di Adriano. Tuffarelli successivamente è diventato un alto dirigente dell’Olivetti stessa e poi anche della Fiat e della sua ultima carica la stampa ne ha parlato abbastanza, per quanto ricordo io.
Ho sempre ricevuto lo stipendio da Ivrea, anche se quasi da subito mi hanno trasferito o meglio prestato alla Società Olivetti- Bull di Milano incorporata nel ’59 nella divisione Elettronica Olivetti e nel 1964 ceduta in blocco alla General Electric Information System, diventata successivamente Honeywell Information System.
Racconto questo perché all’Olivetti Bull, dopo un lungo corso sulle macchine a schede perforate, per alcuni anni ho svolto mansioni tecniche presso i clienti e quindi in giro per l’Italia. Ma nel 1957 sono stato chiamato a Milano, sede centrale della società alla quale ero stato prestato, per svolgere la funzione di istruttore prima e poi di responsabile della Scuola di Formazione dei Tecnici sia neo assunti sia anziani da riqualificare, soprattutto nel passaggio e nel rapido sviluppo dei calcolatori elettronici della Bull prima e della classe Elea successivamente. Anni di rapido sviluppo e di rapido cambiamento, in sintonia con la società Italiana, che, in pochi anni, ha completato la trasformazione da Società Agricola a Società Industriale. Anni ruggenti gli anni Cinquanta, anche se il boom viene accreditato agli anni Sessanta. Ricordo solo dei dati: nel 1960, il Pil aumentò del 7 per cento, quasi come la Cina oggi, si realizzò la piena occupazione in gran parte industriale, senza inflazione e debito pubblico. Dieci anni prima eravamo ancora in una società a prevalente reddito agricolo, con problemi sociali enormi. Nel Sessanta c’era anche la pace sociale. Dico questo perché negli anni che vanno dal 1957 al 1964 realizzavamo molti corsi soprattutto per neoassunti, la scuola alla fine fu trasferita a Borgo Lombardo e di questa accennerò qualche cosa alla fine.
Ad ogni corso d’accordo con i miei dirigenti, organizzavamo una gita ad Ivrea in Pullman con visita agli stabilimenti, alle opere sociali, pranzo buono in mensa, visita rapida alla città dove ricordo soprattutto la Dora con il suo giro e il rumore delle acque e poi ritorno a Milano con obiettivo la nostra sede che prima di approdare a Borgo Lombardo, cambiò diversi indirizzi pur essendo partita nel 1957 da Via Clerici, dove insieme a tutti gli Olivetti di Milano aveva sede anche l’Olivetti-Bull compresa la nostra scuola allo stadio iniziale. Incredibile il ricordo di quel palazzo nuovo nel centro del centro di Milano, a due passi dalla Scala; palazzo disegnato allora dall’architetto Bernasconi nel quadro delle grandi e moderne iniziative edilizie e urbanistiche dell’Ing. Adriano. Durate i molti viaggi ad Ivrea con i nostri gruppi di giovani in fase di formazione, ho potuto imparare tutto dell’Olivetti, ho parlato con molti interlocutori del Personale e della Pubbliche Relazioni, alcuni diventati famosi in seguito e passati dalla cronaca alla Storia anche Italiana per iniziative manageriali, culturali e politiche.
La storia Italiana ha registrato molte cose di Olivetti nel suo tempo e in particolare della storia collegata con L’Ing. Adriano Olivetti, che morì improvvisamente nel Febbraio del 1960 in un freddo treno da Milano alla Svizzera. Adriano era una persona multiforme, dalle mille iniziative in buona parte riuscite. Un’anima inquieta Adriano, quasi che la sua conversione da Ebreo a Cattolico, gli avesse messo in corpo l’aspirazione di grandi personaggi civili e religiosi. Una specie di Sant’Agostino moderno e per di più industriale. Si diceva e si è scritto che, alle volte Adriano passasse del tempo dietro alle catene di montaggio delle macchine meccaniche da scrivere e da calcolo, per osservare gli operai senza essere visto. Ma L’Ingegnere non osservava gli operai per studiare o suggerire ai capi come aumentare il ritmo produttivo, ma pensava a quegli operai magari passati da un mondo agricolo libero e ora vincolati a un lavoro ripetitivo alla catena di montaggio. Capiva le aspirazioni alla libertà di quegli operai e pensava come liberarli da quel giogo, pur nell’esigenza di mantenere un’industria nel pieno dell’era Fordista di americana provenienza. E lui l’America l’aveva conosciuta bene.
Nacquero anche da questa aspirazione, le iniziative per cambiare il sistema di lavoro e di produzione, organizzando le unità di montaggio integrate che poi si diffusero da altre parti, con la definizione delle isole di produzione sotto il tema di “Verso una nuova organizzazione del lavoro”.
Lo Scopo era anche quella di aumentare produttività e salari, ma dentro al tentativo di superare la schiavitù delle linee di montaggio di Chapliniana memoria. Ovviamente non mi fermo su questo argomento trattandosi di una questione tecnica superata poi, dai moti di sessantottesca memoria.
Alcuni anni dopo ci fu un’altra trasformazione, con il passaggio alla produzione elettronica, ma, in quel tempo, Adriano non c’era più da anni e il percorso fu pilotato da un grande dirigente proveniente tra l’altro dall’Olivetti-Bull e divisione elettronica e cioè l’Ing. Ottorino Beltrami.
Nella storia dell’Azienda su Internet, con dovizia di argomenti e fotografie, i due argomenti da me evocati, hanno uno spazio adeguato, pur nella sinteticità di tutte le storie.
La premessa fatta mi consente di affrontare il cuore della Formazione Professionale Olivetti, comunque sempre sincronizzata con l’esigenza di avere una classe operaia adeguata e moderna in grado di produrre ma anche se possibile, di avere una vita degna per il lavoratore e la sua famiglia.
Il Cfm
Nel 1935, era già avvenuto il passaggio dall’Ing. Camillo all’Ing. Adriano, fu creato il Centro di Formazione Meccanici. Non era solo un’idea di avanguardia dell’Ing. Adriano. Gli operai venivano dalla campagna con una scolarità a livello Elementare o poco più, dato che avevano iniziato il loro cammino le scuole di Avviamento Professionale con la tendenza a fare iniziare il lavoro da apprendisti a 14 anni. Lo sviluppo dell’Azienda negli anni venti e trenta fu molto forte, nonostante che gli Olivetti fossero osteggiati dal Regime per la loro radice ebraica e soprattutto per le loro tendenze Liberali o Azioniste, pur dentro uno stato che non ammetteva libertà di pensiero. Alla fine della guerra, nonostante tutto quello che era successo, l’Olivettiaveva ad Ivrea circa 2000 operai. Il sistema della formazione dell’apprendista affiancandolo ad un operaio esperto per imparare, non funzionava più, anche da ciò la nascita del Centro.
Nell’archivio storico su questo argomento, si scrive esplicitamente “…con lo scopo di qualificare, specializzare, gli operai da destinare alle delicate operazioni di attrezaggio. In seguito il sistema della formazione si amplia, anche per colmare le carenze dell’istruzione pubblica di quel tempo: nel Canavese mancano le scuole tecniche superiori, la cultura industriale è carente, molti ragazzi abbandonano la scuola dell’obbligo anzitempo. Per rimediare all’Olivetti nascono corsi di perfezionamento, corsi di addestramento generico, corsi serali e preserali di cultura tecnica industriale. Nel dopoguerra nasce l’Istituto Tecnico Industriale Olivetti, legalmente riconosciuto, che resterà attivo fino al 1962, quando l’apertura di un’analoga scuola statale ad Ivrea, renderà ridondante l’iniziativa aziendale. Negli anni 50 e 60 il sistema di formazione tecnica Industriale assume quindi le caratteristiche di una vera e propria Scuola Olivetti, di cui il CFM è la componente più rilevante.”
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