Di tutte le preoccupazioni che accompagnano strada facendo i preparativi per l’avvio del prossimo anno scolastico la più pressante, impellente e dirimente è che le scuole si possano finalmente riaprire, le aule e gli spazi ragionevolmente attrezzabili riescano ad ospitare tutti gli alunni che avranno il diritto di accedervi, che il numero degli insegnanti sia sufficiente a coprire gli organici necessari per far fronte allo spacchettamento orario e fisico delle classi e che tutto ciò possa aver luogo in un contesto sicuro, accogliente, organizzato, con tutte le tutele igienico sanitarie lungamente studiate e previste per garantire una profilassi adeguata all’incombente pericolo del contagio.

Questo pensiero turba il sonno degli addetti ai lavori – dal Ministero ai dirigenti scolastici, ai docenti e ai collaboratori amministrativi, tecnici e ausiliari – ma anche delle famiglie e, ad un livello di consapevolezza rapportato all’età dell’utenza, agli studenti stessi.
Uscire da un lungo periodo di lockdown e dalla sperimentazione – frammentaria, non sistematica, spesso improvvisata e geograficamente diseguale – della “didattica a distanza” per riaprire i battenti ad una incerta e indefinita aspirazione di normalità ‘in presenza’ necessita di dotarsi di una specie di paracadute per un atterraggio morbido, sul piano organizzativo e funzionale e su quello psicologico e relazionale.

Da questo punto di vista conteranno in modo determinante le capacità di attrezzare contesti sostenibili sotto il profilo degli spazi, delle attrezzature delle risorse umane e materiali, in buona sostanza un insieme di fattori oggettivi imprescindibili: dai banchi al numero dei docenti, alle dotazioni, ai meccanismi di funzionamento secondo coordinate spazio-temporali. Tuttavia sarà importante prestare attenzione anche ai fattori soggettivi, che riguardano la rassicurazione emotiva, il sentirsi parte di una comunità che ha le sue regole ma che non può trasformare un ambiente educativo ad alto tasso di socializzazione in un luogo di costrizione: le aule, le palestre, gli angoli attrezzati, i laboratori, gli spazi interni/esterni non dovranno essere vissuti come letti di Procuste inospitali. Il timore che tutto funzioni davvero non dovrà trasformare l’aula didattica in una sorta di ambulatorio medico ma, tenendo conto delle incognite legate alle schizofrenie della pandemia, neppure correre il rischio di generare o far circolare nuovi improvvisi focolai.

Non potremo certo permetterci che questo accada nelle nostre scuole, dobbiamo capire che il concetto di responsabilità riguarda tutti e non ammette deroghe, per dirla con Bernanos … “che non siamo noi a custodire le regole ma sono le regole a custodire noi”.
Tuttavia non siamo autorizzati a dimenticare che la dizione “sistema scolastico” implica il concetto di gestione del capitale umano. Questo vale sotto il profilo delle tutele sanitarie ma anche nel perseguimento del fine precipuo per cui esiste la scuola e istruzione e formazione avvengono in contesti istituzionalizzati: il diritto allo studio ha il suo correlato speculare nel dovere sociale di perseguirlo come obiettivo di civiltà sul piano etico e come investimento primario che ogni Stato dovrebbe finanziare, avendone poi un ritorno in termini di elevazione culturale e di crescita e progresso economico, di sommo bene comune. E’ di questi giorni una stima della Banca Mondiale che ha previsto che i cinque mesi di chiusura forzata delle scuole costeranno agli alunni di oggi che li hanno subiti minori entrate economiche nella vita adulta per una cifra complessiva pari al 7% del PIL planetario. Ma anche guardando oltre il dato meramente economico ci sono altre conseguenze che dovrebbero preoccupare: la qualità delle relazioni interpersonali, l’aderenza o il discostamento rispetto agli obiettivi formativi, la loro programmazione, le occasioni di verifica, il tener desta la motivazione (ad insegnare e ad imparare) che poi è il gusto di andare a scuola volentieri, senza essere sopraffatti dai condizionamenti ambientali. Anche se l’incipit sarà sostenibile sul piano organizzativo e funzionale è probabile che il nuovo anno scolastico (che vedrà aggiungere nel curricolo le 33 ore annuali di educazione civica) debba forzatamente scontare un rallentamento nello svolgimento del programma nazionale e nella didattica gestita dalle scuole dell’autonomia.

Si pensa con maggiore intensità all’emergenza sanitaria – ed è priorità che si autoimpone – e si finisce con il trascurare l’incidenza che il riassestamento del sistema scolastico potrà determinare nel rapporto insegnamento-apprendimento, a partire dalla rimodulazione oraria delle lezioni, all’avvicendamento dei docenti su gruppi classe prevedibilmente ridotti, all’uso dei libri di testo.
E’ necessario pensare agli spazi, alle aule e ai banchi ma senza dimenticare i contenuti didattici.

La scuola non è luogo di mera assistenza custodiale.
Il Ministro ha promesso “aperture di tavoli di concertazione per tutti”: al suo posto chiuderei quelli già esistenti e farei funzionare la macchina dell’amministrazione.
Aggiungere complica, razionalizzare semplifica.

Dirigenti scolastici e docenti hanno eletto le loro rappresentanze professionali e sindacali, si è raggiunto un protocollo d’intesa con le OO.SS. ma si eviti l’appello continuo ai cd. “esperti”: esperto deriva da ‘esperienza’: quanti di coloro che stilano linee guida e aggiungono ai programmi vigenti nuove gigantesche monografie su come deve funzionare una scuola, non ne frequentano una da alcuni anni (o decenni)?
Pare che si apra la strada dell’insegnamento agli studenti universitari per coprire i posti vacanti e le carenze di organico mentre ci sono graduatorie di precari con anni di insegnamento che attendono un concorso che chiuda questa piaga endemica del sistema scolastico italiano.

C’è poi chi invoca l’equivalenza della didattica a distanza con quella tradizionale: ne uscirebbe un mix ingestibile e spaventosamente deficitario sul piano della preparazione. Ma anche potenzialmente incline a produrre – come mi ha ricordato Paolo Crepet- un contesto comunitario anaffettivo. Le nuove tecnologie hanno una valenza sussidiaria rispetto alla didattica in presenza, la cultura è interiorizzazione di saperi e competenze: occorrerà prestare molta attenzione affinchè le chiavi di funzionamento della scuola siano restituite a chi ci lavora.

Esistono meccanismi di verifica e controllo sull’ordinato svolgersi della vita scolastica, facciamoli funzionare rispettando la sintesi necessaria tra la libertà d’insegnamento e il diritto allo studio.

Una vita scolastica regolamentata e ricca di motivazioni restituisce la necessaria rassicurazione emotiva.