Tratto dall’edizione odierna dell’huffingtonpost

Temo che la cura omeopatica del populismo sia nociva. Si affaccia purtroppo la tentazione di smontare la maggioranza gialloverde offrendo una sponda al Movimento 5 Stelle. Prende piede cioè la suggestione di un cambio di alleanze, anche in questa legislatura, con l’invito al Pd a superare giuste riserve ed obiezioni. Per altro, le alleanze sono fondamentali per identificare una forza politica. Un detto popolare recita così, in maniera lapidaria: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Con il crollo delle ideologie, questa piccola cautela cognitiva diventa la bussola per non perdersi nel vuoto che la cancellazione delle classiche polarizzazioni – destra sinistra e centro – determina nella vita democratica. Dunque, affrontare a viso aperto questo tema, con discorsi sinceri e concreti, rappresenta una necessità.

Il Pd ha molti difetti, ma non quello dell’autocensura. Non vige al nostro interno la regola del centralismo democratico. Si discute, apertamente e liberamente, senza mascherare il dissenso. Tutto ciò è positivo, non solo per noi. Vuol dire che un “partito aperto” esiste, non è una chimera.

È sbagliato, tuttavia, che il confronto interno eluda o ignori una minima disciplina di buon senso. Abbiamo tenuto una direzione nazionale, articolandola in due sedute, con il segretario impegnato a trovare una sintesi. Anche stavolta è sembrato che uno sforzo di reciproca comprensione fosse ampiamente condiviso. Invece, come nel passato recente e meno recente, chiusa la direzione si è materializzato un altro discorso, con altre prospettive.

Ora, adombrare l’ipotesi di un’alleanza con il M5S è operazione scorretta, se posta a distanza di poche ore dalla verifica negli organi di partito. Dovremmo rilanciare la “vocazione maggioritaria” e strizzare l’occhio, al tempo stesso, a Di Maio? Molta parte dell’elettorato, benché ostile alla destra, vedrebbe con fastidio un nostro cedimento al populismo grillino. Zingaretti ne è consapevole, come dimostra la prudenza da lui adottata su questo delicatissimo punto. Non si capisce, del resto, su quali basi dovremmo intavolare il confronto con i pentastellati.

Di questo passo, abbozzando con disinvoltura un’alleanza altamente controversa, miniamo la credibilità del PD. L’illusione è pensare che a uno strappo non ne consegua un’altro, di segno opposto. È vero, il “centro” può essere uno spazio occupato da noi, non c’è bisogno che si costituisca un clone politico di segno moderato. Ma la svolta filo-grillina darebbe fiato a un “centro” virtualmente incompatibile con un blocco democratico-populista. Allora non nascerebbe un generico “centro” (amico del Pd), bensì un nuovo soggetto politico desideroso di rimarcare la propria autonomia (dal Pd). A Zingaretti spetta il compito di tenere ferma la rotta.