Premetto che gli attori in campo sono tutti infarciti di idee che orientano giudizi e comportamenti, e che l’ideologia sovrasta comunque ciascuno di noi. Ad esaminare il caso della Sea Watch non possiamo esimerci dalla osservazione che ho premesso. Per essere ancor più chiaro, tanto la comandante Carola Rakete, quanto il Ministro degli Interni Matteo Salvini, devono fare i conti con la scena che sta alle loro spalle e che condiziona fortemente tanto l’una quanto l’altro.

Fatta questa precisazione, cerco di rappresentarmi la vicenda nel seguente modo: Carola si prodiga a salvare 40 naufraghi, Salvini intende respingere qualsiasi approdo che non sia preventivamente garantito dai flussi regolari.

Il conflitto tra i due protagonisti è del tutto evidente. Sono due atteggiamenti tra loro contrapposti: ciò che vuole l’uno è respinto dall’altro.

Ora, sappiamo che cosa sia accaduto. Televisioni e giornali ci hanno fatto mille volte riandare con gli occhi e con la mente ai fatti. È pertanto inutile aggiungere una mia ulteriore versione. Tanto, già sapete tutto. Il mio compito è da che parte collocarmi.

Perché è evidente che qui una posizione va pur presa.

Alla luce della sentenza del Giudice, è chiaro che l’azione della giovane tedesca non può essere in alcun modo punita. Ragioni di elevato spessore umano elevato reggono la decisione del Giudice. Il conflitto, in una società civile, è sempre rigorosamente demandato alla corte della giustizia. Il politico ha altri compiti e le persone possono, per fortuna, criticare i dispositivi della Magistratura, ma devono comunque rigorosamente rispettarli. Quello che fa specie, invece, è che Salvini, da Ministro degli Interni, ha apertamente, in forma diretta, in chiaro, protestato nei confronti della sentenza, apostrofando pure il Giudice, affermando che quello che ha espresso va rubricato come atto politico.

Non posso, per ragioni squisitamente razionali, non mettere all’indice una posizione così espressa; Salvini, in quanto individuo può permettersi qualsiasi avversione al giudizio del Gip, ma non può, perché rappresenta anche me, oltre voi tutti, farlo da Ministro dell’Interno.

È bene sottolineare questo aspetto perché ci sono tante questioni delicate sotto questa vicenda; pertanto, esaminare con serietà il fenomeno può essere molto utile per chiunque, al fine di dipanare un’intricata matassa politica.

Potrei anche sbagliarmi, potrei anche scrivere delle cose non del tutto fondate. Questo è sempre possibile. Ma scrivo proprio perché qualcuno possa rilevare le mie vuotezze e correggere quanto vado dicendo. In fondo, essendo stato io un democristiano vicino al pensiero di Aldo Moro, ho appreso in quel partito, il sacrosanto diritto di esprimere apertamente la propria convinzione, ma di riconoscere anche le osservazione degli altri nei miei riguardi perché la democrazia, in fondo, è un esercizio che si pratica, almeno credo, in questo modo.

Non so se io, nella condizione data, mi sarei comportato come la comandante Carola. Non lo so. Anzi, pensandoci su, probabilmente non ho la stoffa per gettarmi in simili imprese; posso però dire, con certezza, che, pur avendo anche io più volte criticato alcune sentenze, so distinguere ciò che è lecito fare da libero cittadino rispetto a quello che non andrebbe in alcun modo compiuto se rappresentante delle Istituzioni.

Per concludere, ciò che di sacro ci ha dato la società moderna, è la netta separazione tra potere legislativo, politico e giudiziario; bisogna sempre salvaguardarlo, per non cadere nelle conformazioni che la storia ci ha orribilmente consegnato sotto vesti e forme dittatoriali.