Dopo che l’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte ha fatto una scelta diversa da quella che in tanti auspicavano, che invece era quella di chi lo avrebbe visto bene come federatore del centro, e non solo, ma anche di quelle tante realtà che si riconoscono nel centro-sinistra ma con cui l’attuale Pd fa fatica a interloquire, risulta a mio avviso importante seguire l’indicazione che ieri Giorgio Merlo ha dato su Il Domani d’Italia, ovvero quella che nello spazio politico del centro c’è ancora un campo aperto per tale progetto, anche per noi Popolari. A condizione che si sappia rappresentare un’agenda popolare, consapevole delle difficoltà attuali ed insieme capace di proporre una visione di futuro, a un governo che dispone di straordinarie competenze al suo interno, che vanno fatte interagire costantemente con le istanze della classe media.

Qualche punto di una tale agenda e delle urgenze socioeconomiche da cui scaturisce, è senz’altro rimbalzata nei colloqui dell’incontro bilaterale tra Italia e Santa Sede svoltosi ieri in occasione della ricorrenza dei Patti Lateranensi.

Ma sarebbe illusorio rifugiarsi passivamente sotto le ali di Draghi, sperando che dalla sua “magica” covata possa schiudersi l’uovo di un centro forte. Quest’ultimo sarà tale, credo, solo se saprà rappresentare un punto di vista distinto, propositivo e originale rispetto a quello di Draghi e dei suoi principali collaboratori. Non certo per logorarlo o indebolirlo bensì per il fine opposto, di rispondere con i fatti a quanti soprattutto nell’area dei Paesi “frugali” tendono a dare una lettura dell’attuale governo prevalentemente in termini di ultima spiaggia per l’Italia, o di anticamera della Troika, quando non addirittura di mera parentesi tra l’ondata populista del 2018 e una possibile in futuro.

Per scongiurare quest’ultimo rischio serve un centro di sostanza, capace di dare reale rappresentanza politica alla fascia di mezzo della società, erodendo la terra da sotto i piedi a nuovi populismi con una strategia concreta e convincente.

Perché come ha ben colto l’editoriale dell’ultimo numero della Civiltà Cattolica, se nelle ultime settimane il ceto politico ha mostrato di voler convergere verso il centro, con una svolta generalmente moderata, è lecito chiedersi se l’elettorato, abituato alle polarizzazioni, farà lo stesso movimento dei partiti. La risposta non è per nulla scontata. Su questo fronte in particolar modo credo si debba collocare l’impegno di quanti oggi cercano di allargare i confini del centro come base per un nuovo centro-sinistra.

Si potrebbe osservare che al medesimo fine, quello di evitare un riemergere del consenso a vecchie e nuove formazioni populiste, talora servirebbero anche atteggiamenti meno perentori da parte dell’establishment. Come certe fughe in avanti a cui ormai sembra abituata la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen che l’altro ieri ha ribadito al Financial Times una sua personale road map che sembra uscita dal Bill Gates-pensiero, che contempla un’”era di pandemie” e di conseguenti restrizioni e misure, come il passaporto sanitario, che oltre che a prestare il fianco ai concorrenti dell’Europa (il capo della diplomazia russa Sergey Lavrov ha subito messo il dito nella piaga della contraddizione fra la necessità del passaporto vaccinale e la non obbligatorietà dei vaccini) generano degli interrogativi su quanto sia reale la disponibilità dei cosiddetti “poteri forti” a concepirsi come una parte anziché come il tutto. Ma questo, a ben vedere, è la ragione sociale del centro “popolare”, rappresentare le ragioni, gli interessi dei tanti “piccoli” che insieme fanno una nazione e di porre e presidiare i giusti paletti affinché i pochi grandi non si ergano a misura di ogni cosa. Una tentazione mai così forte come nell’ora attuale ma che, come in passato, se non sarà temperata può produrre ancora effetti incontrollabili.