Sostiene Calenda

Introdurre il tema della “conoscenza” in un progetto di crescita e sviluppo del Paese significa acquisire un metodo basato sull’uso del pensiero critico.

In un saggio per il progetto di ricerca “Le conseguenze del futuro”,  patrocinato dalla Fondazione Feltrinelli e dall’ENI, il Prof. Ermanno Bencivenga, Docente di Filosofia all’Università della California, ha evidenziato come in una società complessa, attraversata dall’esigenza del conoscere quale requisito indispensabile per ogni progettualità futura, occorra distinguere tra la conoscenza che circola nel web, per sua natura fondamentalmente transeunte, veloce, mutevole e per ciò stesso finta, sfuggente e ingannevole e quella che si sedimenta negli apprendimenti tradizionali, che richiedono pazienza, ascolto, studio e sacrificio. 

La prima è una forma di conoscenza proposizionale che potremmo definire know-that mentre la seconda conduce ad una tipologia di apprendimenti consolidati che si traducono in abilità e competenze, ciò che siamo soliti definire come know how.

Inutile dire che per chi voglia incidere nei mutamenti e nelle trasformazioni della nostra realtà esistenziale, a cominciare dal livello che pertiene alla politica , risulta assai più interessante la seconda della prima.

Non per tutti ad onor del vero: c’è infatti chi sostiene che la democrazia del futuro non avrà più bisogno delle istituzioni tradizionali per funzionare poiché sarà sostituita gradualmente da forme di partecipazione virtuali, dove si dissolveranno i corpi intermedi di rappresentanza per consentire al cittadino di intervenire in modo diretto sulla realtà. Senza preoccuparsi del fatto che le relazioni personali, la sedimentazione di una cultura ricevuta, consolidata e tramandata, appresa e insegnata, lo stesso corpo sociale potrebbero essere sgretolati  da una congerie di dissolvenze incrociate, senza centro e senza periferie, dove si  assisterebbe probabilmente ad un trionfo del relativo e di soggettività solipsistiche, un universo globalizzato nel quale gli individui sarebbero monadi isolate tra solitudini incomunicabili.

Il tema della conoscenza risulta dunque fondamentale in una società complessa, attraversata da una pluralità di interpretazioni, specialmente se rapportato all’esigenza della politica di definire modelli istituzionali e sociali in cui posizionare e ricomporre le molteplici contraddizioni del presente, in una deriva di transizione che richiede chiarezza di intenti e lungimiranza progettuale.

Dalla mutevolezza e dalle incertezze dell’hic et nunc  (che il Prof. De Rita liquida tout court come “presentismo asfissiante”) emerge una duplice esigenza per qualsivoglia ipotesi di gestione della società del futuro e – al suo interno- degli stili di vita e dei comportamenti individuali: quella della competenza e quella della responsabilità. Senza questa coesistenza intrinseca potremmo avere demiurghi caricati di responsabilità ma privi delle necessarie competenze originate dalla conoscenza o – viceversa – esperti saturi di competenze ma deprivati del saper fare, del saper agire , del saper gestire.

Alla politica del nostro tempo, spesso ricca di parole, frasi a effetto, promesse ed effetti speciali  ma orfana di ‘competenze utili’ spendibili in ‘responsabilità necessarie’, sarebbe utile ripercorrere l’intera tassonomia di Benjamin Bloom, solitamente applicata nell’ambito degli apprendimenti: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi e valutazione.

I professionisti della politica dovrebbero farlo per imparare ed utilizzare un metodo collaudato che riesca a sostanziare di senso un progetto di governance e un modello di società: obiettivi che vanno spiegati con chiarezza per non cadere nell’improvvisazione dannosa o nel limbo incerto dell’indefinito sistematicamente emendabile o rinviabile.

Carlo Calenda, persona di notevole spessore culturale ed emergente politico di rango, sembra aver compreso questa necessità, che diventa compito e impegno da realizzare poiché a suo dire questa “sfida si giocherà da oggi al 2030”. Nel suo “manifesto politico” pubblicato tempo fa dal quotidiano  ‘Il foglio’, l’ex Ministro descrive la realtà del presente ed individua cinque punti da cui ripartire per ripensare il sociale far ripartire il Paese, ancora fermo nelle secche ben descritte dai recenti rapporti ISTAT e CENSIS. 

Idee chiare, formulate in modo sintetico e riassuntivo, comprensive delle esigenze colte dalla lettura della realtà e possibili basi di partenza per un riposizionamento politico che si ponga come alternativa concreta ed esperibile ai populismi e ai sovranismi emergenti, pena l’inazione lungo un lasso di tempo insostenibile per un radicale cambiamento nella direzione della ripresa e dello sviluppo.

In realtà una voce finora isolata in un coacervo di confusione, indecisioni, retromarce, in un contesto orfano di piglio decisionista e di competenze nuove, scaltrite e moderne, spendibili nel  confronto tra le forze politiche decise ad imprimere un cambio di direzione, ma ancora prigioniero di primazie, veti, personalismi e rendite di posizione.

Calenda ha ben compreso, infatti, che l’alternativa al presente può realizzarsi solo attraverso un deciso ricambio della classe dirigente: per questo nel suo manifesto politico sostiene che la conoscenza debba essere utilizzata come principale agente di cambiamento.

La definizione è necessariamente succinta e sintetica ma decisamente nuova, carica di ulteriorità e rielaborazioni che meglio possano spiegarne il senso ed aprire il Paese verso prospettive cariche di innovazione’sostenibile’.
Così si esprime l’ex Ministro: “Conoscere. Piano shock contro analfabetismo funzionale. Partendo dalla definizione di aree di crisi sociale complessa dove un’intera generazione rischia l’esclusione sociale. Estensione del tempo pieno a tutte le scuole. Programmi di avvio alla lettura, lingue, educazione civica, sport per bambini e ragazzi. Utilizzo del patrimonio culturale per introdurre i bambini e i ragazzi all’idea, non solo estetica, di bellezza e cultura. E’ nostra ferma convinzione che una liberal democrazia non può convivere con l’attuale livello di cultura e conoscenza. L’idea di libertà come progetto collettivo deve essere posta nuovamente al centro del progetto di rifondazione dei progressisti”.

Un passaggio del suo “manifesto” da cui si evince la consapevolezza di un diffuso analfabetismo culturale e funzionale – inteso come carenza di know-how, abilità e competenze – la necessità di un rilancio della cultura, negli investimenti e nei contenuti, in una revisione dei programmi di studio, nella coesistenza tra la nostra tradizione umanistica e la spinta dell’innovazione tecnologica.

Introdurre il tema della “conoscenza” in un progetto di crescita e sviluppo del Paese significa acquisire un metodo basato sull’uso del pensiero critico. Non è poco per un Paese abituato ai luoghi comuni, dove la politica da tempo gioca al ribasso.

Puntare infine sulle persone in un caravanserraglio di relativismo etico, progettuale, di visioni e di confuse e velleitarie utopie pare essere la scelta migliore: siamo ad un punto di non ritorno (ogni esperimento politico degli ultimi venti anni si è infranto sugli scogli della realtà a motivo dell’incompetenza dei suoi timonieri). Speriamo che diventi almeno un punto di svolta. La ruota gira, la storia non finisce qua, non esiste un anno zero ma c’è sempre una possibilità di ripartire con idee e uomini nuovi che sappiano interpretare al meglio le ansie e le speranze del nostro tempo. In un mondo di incertezze e confusione, sul piano antropologico e sociale, avvertiamo un disperato bisogno di normalità.