È stato presentato l’altro ieri il volume dello storico economico Giovanni Farese “Mediobanca e le relazioni internazionali dell’Italia” sulla internazionalizzazione dell’istituto di credito fra il 1944 e il 1971, dunque per tutto il periodo della ricostruzione e del miracolo economico.

Ne hanno discusso, dopo il saluto del Ministro dell’Universita Manfredi, Giorgio La Malfa, Sabino Cassese, Valerio Castronuovo, Sergio Romano.

Un parterre di grande qualità e competenze che a vario titolo ha vissuto quegli anni e ha consentito di arricchire il dibattito con ricordi ed esperienze personali. Con questo libro si prosegue l’azione di divulgazione di Mediobanca aprendo gli archivi alla conoscenza di fatti determinanti per le scelte economiche del Paese. Sono emerse le caratteristiche di un gruppo finanziario, coeso, con una forte rete diplomatica, proteso alla internazionalizzazione non solo come maggiore capitalizzazione, ma come arricchimento di esperienze manageriali, con un alto concetto dello Stato, con un interesse per il Mezzogiorno, l’attenzione al vincolo esterno, lo sguardo all’Africa e alle sue potenzialità di sviluppo, con scelte che favorivano tutto il sistema industriale, dal settore energetico a quello automobilismo, a quello della infrastrutturazione come la diga sullo Zambesi e le vie di comunicazioni verso il porto di Dar es Salaam nel contesto di raffinerie e attività portuali.

La linea guida era di “capire le imprese studiando i bilanci”.
Mediobanca è stato il luogo del sindacato di controllo dei grandi gruppi privati ma anche il collo di bottiglia delle grandi operazioni pubbliche e private.
Tutto ciò guardando ai principi di una economia di mercato piuttosto che ad una economia pianificata, all’interesse pubblico, allo Stato Regolatore e non alla deriva di uno Stato imprenditore che accentua i salvataggi e perde di vista l’economicità di gestione come purtroppo avverrà sul finire degli anni settanta e nel successivo decennio, con l’Iri come conglomerata che non poteva sopportare il peso delle perdite di alcuni comparti industriali.
Nel dibattito il grande assente è stato il ruolo della politica. Potrebbe essere un merito nascosto quello di avere avuto rispetto per l’Istituzione Mediobanca interloquendo prevalentemente in modo corretto con la Autorità di vigilanza, la Istituzione Banca d’Italia come dimostrano i rapporti De Gasperi, Einaudi e Menichella. È stato opportunamente sottolineato il rapporto distaccato del Gruppo con il regime fascista e soprattutto l’opportunismo mussoliniano nel concedere spazio senza interferire guardando ai vantaggi generali. Cuccia “avversó il regime senza farne postumo sfoggio” scrisse recentemente Vincenzo Maranghi.

Se c’è un rammarico in quanto ascoltato ieri è stato nel non vedere adeguatamente evidenziato il ruolo fondamentale dell’Iri attraverso le le Bin (Credit Comit è Banco di Roma) le tre banche di interesse nazionale presenti nel capitale, nel patto di sindacato, con quote maggioritarie e fondamentali nel fornire i mezzi finanziari nelle operazioni di raccolta del risparmio e di valorizzazione del risparmio a medio e lungo termine. Così come il fondamentale legame tra politica industriale e politica fiscale per determinare il successo di politiche di sviluppo. Come non ricordare il successo dei certificati di deposito di Mediobanca nella raccolta per favorire impieghi produttivi.
È sufficiente scorrere l’elenco degli amministratori di Mediobanca fino al 1982 nel volume dedicato a Cuccia con le sue relazioni al Bilancio per trovare Saraceno, Ventriglia, Stammati, Barone, Guidi, Alessandrini, Ferrari Aggradi. Per non parlare di Giordano dell’Amore o Massimo Spada ex Ior dal 1950 al 1975.

L’internazionalizzazione è stata possibile per le non facili scelte europeiste del dopoguerra che furono politiche e non erano scontate. Luigi Einaudi nel 1897 aveva scritto su La Stampa un articolo per gli Stati Uniti di Europa! Era un europeismo in chiave transatlantica anche per le remore postbelliche di Regno Unito e Francia verso il nostro paese stringendo la nostra azione.
Il progressivo spostamento di attenzione dalle grandi imprese alle medie imprese era in linea con la evoluzione del sistema economico che richiedeva risposte nuove così come trovavano anticipazione seppure limitata strumenti come il venture capital joint venture e l’attivitá di merchant banking.

Poi naturalmente, come è ovvio che fosse, lo sguardo è stato rivolto alla attualità, alla assenza di una politica industriale, la caduta delle grandi imprese nella struttura produttiva, alla perdita di posizioni nello scacchiere internazionale, dall’Africa al Medio Oriente dal Corno d’Africa fino a Mare Nostrum, ma soprattutto alle grandi capacità e conoscenze di uomini di valore che ponevano al primo punto l’interesse pubblico.