Sembra strano, ma alla fine bisogna sempre appellarsi allo Stato. La stagione del neoliberismo si trova costretta a ricorrere a uno strumento quasi bandito dalle sue corde ideologiche. Lo Stato sociale che ha garantito da fino ottocento, via via aumentando il suo intervento nella sfera delle singole realtà, il suo intervento per salvaguardare la “salute” economica dei diversi soggetti che compongono un Paese.

Le pensioni sono state l’intervento a carattere statale per tutelare le persone anziane; fu Bismarck, fine ottocento, a istituire quella manovra da primo “Stato sociale”. Lo fece solo per impedire ai socialisti di vincere le elezioni nella Germania, da qualche anno costituitasi.

C’è stato anche il periodo di uno Stato che ascriveva a se i compiti economici; quelli ad asse principale; non racconto tutta l’evoluzione del secolo scorso per aumentare i diritti dei singoli cittadini in riferimento alla funzione statale. Ricordo solo, perché fa il caso nostro, l’universalizzazione sanitaria. Riforma quest’ultima compiuta a metà degli anni settanta.

Oggi, a causa di questa demoniaca infezione, anche i commentatori del Sole 24 Ore – giornale che risponde alla lingua confindustriale – parla di un intervento dello Stato nell’economia delle imprese, persino le piccole. Lancia l’idea di uno Stato che dovrebbe acquisire quote di capitale di rischio per salvaguardare l’esistenza di questo tessuto fondamentale della nostra economia.

Si sa che le manovre messe in atto durante il 2020, penso al divieto di licenziamento, penso alla cassa integrazione covid, dovrebbero cessare alla fine di marzo del 2021. Questo, di certo, comporterebbe un’irrefrenabile défaillance nel corpo di migliaia di imprese nazionali. Certo, più le piccole che le grandi. Anzi soprattutto falcidiate, sarebbero le minori.

Quest’idea, che confesso non so come possa essere articolata, ma mi sovviene il modello Friulia spa in Regione Friuli Venezia Giulia – anni ’70 – , che potrebbe essere un virtuoso esempio di procedure andate, nel tempo, nella stragrande maggioranza, a buon fine.

Il paradosso è che mentre il mondo sembrava essere volto a dire sempre più: “meno Stato, più mercato”, siamo giunti al caso estremo in cui il mercato dovrebbe piegarsi alla sovranità collettiva, per poter respirare senza tanto affanno.

C’è di che meravigliarsi, ma lo stato di eccezionalità fa fare capriole anche al pensiero imperante.

Staremo a vedere.