Si sovrappongono voci discordanti. Qualsiasi girotondo di parole, per alleggerire la potenza del dilemma, suona male. Si è fatto sentire anche il Presidente del Consiglio, chiarendo che non è competenza del governo intervenire sulla regolamentazione di procedure a ridosso, per così dire. dell’eutanasia. Non esiste un diritto alla morte: Conte l’ha detto da giurista e da cattolico. Bisogna andare avanti con i piedi di piombo.

Ora serve una legge che disciplini il ricorso a questa pratica estrema. Voci autorevoli della Chiesa sollecitano una presa di coscienza per evitare che si scivoli nell’accettazione più o meno nascosta dell’eutanasia.

È sbagliato attribuire alla gerarchia una posizione d’irrazionale rigidità, dal momento che la condanna dell’eutanasia non rientra in un canone di incomprensione della sofferenza umana. “L’eutanasia non va confusa – ha detto il Card. Bassetti –  con il rifiuto dell’accanimento terapeutico, distinzione che spesso non è compresa, quasi si volesse porre sempre in atto ogni possibile intervento medico, senza una valutazione delle ragionevoli speranze di guarigione e della giusta proporzionalità delle cure”. Un conto è lenire il dolore ed escludere l’insistenza su trattamenti medici oltremodo invasivi, al di là d‘ogni soglia di ragionevolezza, altro è accogliere come normale la scelta, svincolata da principi morali e procedure legali, per l’interruzione volontaria della vita.

Credo si debba convenire, credenti e non credenti, sulla bontà di un richiamo alla cultura della vita, e non della morte. Ciò nondimeno, le risorse della scienza e della tecnologia  assegnano alle cure mediche un potenziale d’intervento mai prima conosciuto, fino a prolungare la vita in uno stato di meccanica e penosa sopravvivenza. La Corte costituzionale non dà il via libera all’eutanasia, bensì circoscrive la depenalizzazione a casi estremi, laddove cioè sia evidenziata l’inutilità delle terapie e sia chiaramente espressa la volontà della persona malata a porre fine alle sue sofferenze fisiche. Ora la legge deve fissare i criteri necessari e conseguenti, per impedire lo stravolgimento della non punibilità dell’assistenza al suicidio.

Siamo di fronte a una questione delicatissima su cui il Parlamento finora non è riuscito a legiferare. D’altronde avanza da tempo una propensione ingiustificata a fare del Parlamento la sede di regolamentazione – fino a che punto e con quali garanzie morali? – in ordine a materie complesse, che riconducono a grovigli di interrogativi e controindicazioni. Quanto più la regolamentazione si fa penetrante, tanto più mette in gioco, rischiosamente, principi di responsabilità e di tutela. Pensiamo solo alla condizione del medico e, per altri versi, a quella dei familiari della persona  gravemente malata. Se non vogliamo accreditare, nostro malgrado, la terribile scelta della “cultura di morte” dobbiamo  percorrere con saggezza ed equilibrio un percorso particolarmente stretto, non privo di insidie sul piano etico e politico.

Il radicalismo delle opposte visioni non aiuta in questi casi a individuare proposte ragionevoli, rispettose dei valori fondamentali della nostra condizione umana e civile.