Il tema della diaspora dei cattolici non richiede ulteriori rinvii. Non si tratta certamente di non essere sensibili ai richiami, agli appelli e alle indicazioni di una gerarchia che è più attenta all’universalismo, piuttosto che a una identità fondata sulle nostre radici. Le radici sono indispensabili, in politica, come nella morale, nel sociale, come nell’economia, pena un sincretismo ideologico e riduttivo che permette di parlare di +europa e nello stesso tempo fare parte di quella politica minima di supporto alla denatalità che tanto ha inciso da molti decenni, con l’arrivismo politico dei radicali e il cedimento di quota parte dei cattolici democratici a disvalori, nella convinzione che ciò conducesse a una pacificazione sociale.

Perché Sturzo e De Gasperi, nonostante sia trascorso oltre un secolo dalla loro attiva azione politica, sono ancora i nostri maestri e i nostri maggiori interlocutori, e nonostante i rivolgimenti, i cambiamenti, “le rivoluzioni industriali e tecnologiche” che hanno portato l’Italia e l’Europa a una fase critica di impoverimento e di sfiducia? Perché essi hanno saputo incarnare il grido di dolore della povera gente, operando attivamente nei loro territori, Sturzo a Caltagirone e De Gasperi nel Trentino, provvedendo ai bisogni concreti delle persone, delle famiglie, dei gruppi imprenditoriali, che sono i veri motori dell’economia reale, quella che sostiene i valori di piena presenza e di piena capacità produttiva.

Tutto questo, relativo al mondo di oggi, ha un solo significato: la presenza di quel partito – prima PPI, poi DC – che ha costituito la spina dorsale dell’Italia sia come opposizione al fascismo, sia come baluardo al comunismo nel dopoguerra. Ed ora, in questo momento storico, il pensiero e l’azione di Sturzo e De Gasperi rappresentano la campana che risuona nelle piazze e nelle strade, nelle città e nelle campagne; essi sono il nostro inno nazionale che inizia con quel rullio musicale che richiama in un solo punto non solo i cattolici, ma tutti coloro che amano le cose più sane e viventi della nostra esperienza: la difesa della vita nel grembo materno, allo stesso modo che nel barcone, l’accoglienza solidale del focolare familiare, il rispetto e la buona educazione politica, la solidarietà che si fa sussidiarietà e condivisione nel sociale, tutte quelle reti di fiducia (dal latino fides, cioè corda), che fanno di un popolo e di una comunità (l’Europa) una buona unione di civile e di pacifica convivenza.

“Gli affari dei comitati”, sia locali che nazionali, che hanno infestato e stanno infestando i rapporti sociali, politici ed economici, non ci appartengono, perché solo se saremo capaci di dare una svolta alla dimenticanza dei valori e alle nostre divisioni, sarà possibile la presenza, ancor oggi, di una formazione politica, antica in quanto fondata sulla nostra tradizione più ricca e produttiva, nuova, in quanto corrispondente alla sua incorporazione nell’attuale momento storico, in cui l’oblìo delle certezze ha annebbiato le nostre capacità sostanziali di riflettere, comprendere ed elaborare le necessarie contromisure nella vita politica. Quando leggo e sento fare tanti esercizi dialettici, o sento parlare di tanti ripetuti convegni, mi rendo conto che chi li esprime forse non ha inserito la sua presenza nel tessuto sociale lacerato, non ha ancora compreso che continuare nelle vanaglorie e attribuzioni personali, nelle discussioni fini a se stesse, rende ragione delle nostre sconfitte e delle nostre miserie politiche, che sono prese ad esempio, in negativo, dai nostri avversari politici, quelli dei comitati di affari locali e nazionali. Su queste continuano a costruire le loro opportunità, a tutto svantaggio di chi soffre e vive situazioni di grande difficoltà.

Scrisse Alcide De Gasperi, nel suo discorso a Trento in occasione del primo congresso cattolico trentino, il 30 agosto del 1902: “…permettete che io oggi sia assolutamente pratico. Lascerò gli astratti ed esprimerò i nostri ideali concretamente: cattolici, italiani, democratici”. E l’11 febbraio 1903, a Vienna: “Soldati di fede e di entusiasmo, non ci nascondiamo le difficoltà della lotta e soprattutto che gli anni nostri sono di preparazione, e di studio, ma sappiamo che vi sono momenti in cui vale la parola di Goethe: adesso, in questo periodo, nessuno dovrebbe tacere o cedere”.

Andreotti ne racconta l’impegno in questi termini: “De Gasperi divideva il suo tempo tra gli studi e l’organizzazione studentesca e sociale…Accanto a don Endrici andava per la Val di Fiemme o in Folgaria ad organizzare cooperative di consumo e casse rurali, per sottrarre tanta povera gente al dominio degli usurai. La popolazione delle campagne, collegata ai centri di vendita con mezzi scarsi e difficoltosi, che nel periodo invernale venivano addirittura sospesi, era alla mercé di mercanti che nei loro affari non si ispiravano certamente ai precetti evangelici. Altro peso gravante sui contadini era quello dei prestiti e dei mutui che alcuni signori di campagna, non esclusi purtroppo alcuni dei cosiddetti <intransigenti>, effettuavano a tasso elevatissimo…”(De Gasperi e il suo tempo. Trento Vienna Roma, II edizione riveduta e ampliata, dicembre 1964, Mondadori).

Queste memorie danno ragione a coloro che, con spirito di novità e con dedizione, hanno cercato di entrare nelle pieghe locali dei territori, nelle criticità delle anguste miserie di quel popolo che nella storia è sempre stato o carne da macello, o servizio dei potenti del tempo, e che nella sua umiltà e capacità di soffrire, ha offerto la migliore parte di se stesso, costituendo da sempre il più grande esempio di passione civile, umana e solidale.