Super green pass o pensione? Stiamo manifestando per il problema sbagliato.

Chi scamperà al Covid non scamperà alla vecchiaia. Le generazioni che in questo momento hanno 20-30 anni costituiranno una bomba sociale che esploderà al momento del loro pensionamento. È logico che debbano, già da ora, sforzarsi di costruirsi un portafoglio previdenziale. Occorre tener desta la riflessione su questa incombenza difficile e tuttavia ineliminabile.

Il “Super Green Pass” è senza dubbio la questione del momento, il problema più angosciante per chi non ha proprio voglia di vaccinarsi e per chi, fatte le prime due vaccinazioni contro il Covid-19, non vuole “osare” di più con il richiamo. Fra decine di fake news, che vanno dal grafene nei vaccini fino alla teoria sul dimezzamento della popolazione mondiale (che avrebbero fatto prima a non darlo, il vaccino …) i contagi non si fermano e decine di gruppi si stanno organizzando per manifestare, anche violentemente, contro un sistema politico e sanitario giudicato oppressore, che vuole obbligare, di fatto, i propri cittadini, ad un vaccino non risolutivo e deleterio per la salute: insomma, parliamo di un t.s.o. mondiale a cui simo tutti sottoposti. Eppure, c’è una malattia ancora più pericolosa che nessuno ha calcolato e che era già comparsa prima del Coronavirus e prima dei vaccini: la vecchiaia.

Contro questa si era trovato un rimedio grossolano ma tuttavia efficace: la pensione. Uno Stato, il cui Welfare State era tanto forte da poter retribuire i propri cittadini nell’ultima parte della loro vita con un decoroso assegno di mantenimento, aveva, di fatto, permesso ad intere generazioni di anziani un riparo contro la malattia, un andare incontro all’inesorabile fine in maniera dignitosa. Ora non più.

Con la tanto vituperata “riforma Fornero” le pensioni non sono state cancellate. Eppure, come il green pass accompagna calorosamente al vaccino, pur non essendo obbligatorio, la riforma delle pensioni di fatto elargirà una pensione così miserevole da necessitare il correr ai ripari con una forma di previdenza integrativa, versando noi stessi i nostri contributi, non verso l’Inps, piuttosto, verso una compagnia assicurativa, ente privato a cui lo Stato riconosce questo officio di utilità pubblica. Eppure, in Italia, i giovani che sono preparati a questo discorso sono assai pochi. Innanzitutto, perché non esiste, da noi, una cultura liberista, che porti a riflettere sulla necessità di contribuire direttamente alla nostra sussistenza, senza l’onnipresente apporto dello Stato. Noi siamo abituati allo Stato “mettiti la maglia di lana che fa freddo”, che si curava dei suoi sudditi dalla culla alla bara. La previdenza complementare (pensione privata), disciplinata dal D.lgs. 5 dicembre 2005 n. 252, rappresenta il secondo pilastro del sistema pensionistico. Il suo scopo è quello di integrare la previdenza di base obbligatoria, o di primo pilastro, la pensione statale. Ha come obiettivo quello di concorrere ad assicurare al lavoratore, per il futuro, un livello adeguato di tutela pensionistica, insieme alle prestazioni garantite dal sistema pubblico di base, sempre più carenti e lacunose. Oltre a una mancanza di mentalità tale da voler riflettere su questi temi, le nuove generazioni non hanno contratti di lavoro e stipendi così forti da potersi permettere di “pagarsi” la pensione. 

La previdenza complementare è basata su un sistema di forme pensionistiche (fondi di categoria, fondi assicurativi, etc.) incaricate di raccogliere il risparmio previdenziale mediante il quale, al termine della vita lavorativa, si potrà beneficiare di una pensione integrativa.

Al raggiungimento dell’età pensionabile il lavoratore raccoglie quanto versato nella polizza di previdenza complementare: la compagnia gli riconosce: o tutto quanto versato in un’unica soluzione inclusi gli interessi, oppure un assegno annuale/mensile a vita che può anche superare quanto versato dal lavoratore.

Essendo le pensioni contributive contemporanee non adeguate all’aspettativa di vita media futura (media 850 euro per 40 anni di contributi per un lavoratore operaio), nel costruire la sua pensione privata il lavoratore deve calcolare alcune variabili che poteva vantare al momento dello stipendio e che vengono a mancare con la pensione, incluse le esigenze medico-farmaceutiche che si andranno a creare con l’avanzare dell’età. Nella costruzione di una pensione futura, il lavoratore o la lavoratrice devono calcolare: una somma media mensile da destinare alla spesa alimentare (ad esempio 150,00 euro al mese) e una per le utenze (ad esempio, 200,00 euro di “spese parte padronale”) che includono le spese di casa in generale. Questo, nel caso in cui la persona possa vantare una casa di proprietà, mettendosi al riparo da ulteriori preoccupazioni. In questo esempio, dovrà costruirsi una pensione integrativa di 350,00 euro, che andrà a coprire il cibo e le spese vive di quando sarà anziano/a, potendo utilizzare la “pensione statale” per tutte le altre incombenze come, ad esempio, le medicine, i guasti domestici, o un badante. 

Strumenti per la costruzione della previdenza integrativa sono: il trattamento di fine rapporto (Tfr) e la contribuzione volontaria. Calcolando un versamento annuale di euro 840,00 euro, pari a 70,00 euro mensili, per anni 40, si avrà un cumulo finale di circa 33.600 euro che con gli interessi andranno probabilmente a sfiorare i 40.000 euro. Si richiederà al fondo assicurativo di versare la somma in un premio annuale o mensile, oppure in un’unica soluzione. L’ideale sarebbe quello di versare non 70,00 euro, ma 500,00 euro al mese: ma chi ha la forza economica per poterselo permettere? Le generazioni che in questo momento hanno 20-30 anni costituiranno una bomba sociale che esploderà al momento del loro pensionamento. Chi li sfamerà? È logico che devono, già da ora, sforzarsi per costruirsi un portafoglio previdenziale. Allo stipendio, un lavoratore deve decurtare la spesa dell’affitto o del mutuo, le utenze, gli abbonamenti al telefono e a internet, le spese della macchina, o del motorino, il cibo, nonché preoccuparsi di mettere da parte una somma mensile per la costituzione di un fondo di emergenza per le “varie ed eventuali”. Vien da sé che soltanto uno stipendio di oltre duemila euro potrebbe sopportare la decurtazione mensile necessaria per costituire, in un arco di tempo non inferiore ai quarant’anni, una pensione privata minimamente decorosa. Si dirà che queste righe servono solo ad aggiungere preoccupazioni per le menti di giovani già preoccupate. Tutt’altro: non lo sono abbastanza. Queste righe servono a creare la pre-occupazione necessaria a una vera riflessione su quali siano le priorità che le persone, soprattutto le più giovani, dovrebbero avere in questo momento. Chi scamperà al Covid non scamperà alla vecchiaia. Questa, senza una situazione economica che consenta l’autonomia personale, sarà dolorosa, triste e greve. Il punto, quindi, non è “se moriamo” (a causa di…) ma piuttosto: se per disgrazia campiamo.