Anch’io trovo fuori luogo le proposte di governo di unita nazionale nei termini in cui sono state avanzate. L’emergenza per coronavirus interpella la politica non solo sul versante sanitario.

L’epidemia si sovrappone a una situazione già molto critica di crisi del commercio mondiale e di stallo, da panico, nel cuore decisionale dell’Europa, dove stanno scoppiando tutte insieme crisi di natura diversa. Si continua a ragionare come se non stesse accadendo niente.

Ma il modello economico e sociale mercantilista (primato dell’export sui consumi interni, bassi salari, precarietà del lavoro, rigore di bilancio) che nel bene e nel male abbiamo seguito, sta crollando sotto i colpi della recessione globale, accelerata dal morbo cinese.

Per questo, appare non più rinviabile un dibattito sulla prospettiva, senza il quale la discussione su nuove formule di governo rischia di essere stucchevole. Non saranno le tiepide aperture della Commissione Ue sui margini di flessibilità a tirarci fuori dalle sabbie mobili della stagnazione. Le terapie d’urto per invertire il trend economico non si possono fare con i fichi secchi degli zero virgola sul deficit. Servono politiche espansive al posto dell’austerità, una Banca Centrale prestatrice di ultima istanza non solo per i grandi operatori finanziari, per il luccicante mondo di Tiffany, ma per gli Stati. Invece assistiamo a un accordo parallelo al mes, l’edis, in cui si vuole scoraggiare l’acquisto da parte delle banche dei titoli pubblici. Semplicemente demenziale!

Dunque, occorre chiarire la prospettiva. Mentre il resto del mondo svolta di corsa verso politiche keynesiane, noi rischiamo di rimanere gli “ultimi giapponesi” dell’austerità. Lo dico senza giri di parole perché serve chiarezza sebbene si tratti di questioni terribilmente complesse: pensare di continuare con una austerità senza fine, a prescindere dal mutare del ciclo economico mondiale, fino al fatidico giorno in cui rispetteremo tutti i parametri, è una tragica illusione, letale per l’Italia e per l’Ue. Se si continua per questa via, non ci risolleveremo dalla recessione e, avendo di fatto consegnato, in seno al mes il potere di decretare la ristrutturazione del debito come condizione per poter accedere a tale fondo salva stati, all’asse franco-tedesco, nel giro di pochi anni, ci troveremo ad averne bisogno. Ma ristrutturare il debito, anziché monetizzarlo, significa staccare dei pezzi di carne viva dalle famiglie e dalle aziende italiane. Per farlo non basterebbe neanche una giunta militare in stile sudamericano. Il caos e l’ingovernabilità a quel punto sarebbero assicurati.

Una sana discussione sulla prospettiva è quella che prende atto di ciò, ora. Occorre superare il timore dello spread o di qualche altra forma di ritorsione e porre la questione del superamento dell’austerità in termini perentori e in funzione di un obiettivo ravvicinato di passaggio ad una completa Federazione europea. O si fa o non si fa. E dunque va considerato anche il che cosa fare nell’ipotesi della irremovibilità delle attuali politiche economiche e monetarie europee. Se non lo si fa, finiremo risucchiati dagli eventi nel bunker dei fautori di politiche drammaticamente procicliche, dove si rifugiano quei poteri che rifiutano di vedere che il mercantilismo viene fatto a pezzi dalle mutate condizioni globali, gettando in una crisi profonda le economie e gli Stati che lo avevano eretto a sistema.