Taradash a sorpresa sulle orme di Sturzo

Altre volte, anche in un passato non lontano, ambienti moderati della destra hanno iscritto d’ufficio Luigi Sturzo nel registro dei liberal-liberisti. Oggi, con Marco Taradash, fondatore di “centromotore”, si ripete la stessa operazione.

Altre volte, anche in un passato non lontano, ambienti moderati della destra hanno iscritto d’ufficio Luigi Sturzo nel registro dei liberal-liberisti. Oggi, con Marco Taradash, fondatore di “centromotore”, si ripete la stessa operazione. Con qualche differenza di accento e indirizzo.

In effetti, il pensiero economico del sacerdote calatino è sempre stato orientato in senso anti statalista e anti-monopolista. Nel rivendicare il tratto permanente del suo percorso politico, egli espresse in età matura l’appartenenza alla medesima scuola – quella del radical-democratico Giretti – che segnò il percorso di formazione nella sua giovinezza, fin oltre la nascita del Partito popolare.

Nel periodo dell’esilio, prima a Londra e poi soprattutto negli USA, questo impianto ideale e programmatico s’irrobustì, specie a contatto con le correnti della tradizione liberale anglo-americana. È un capitolo di straordinaria importanza, ancora non approfondito con la lucidità necessaria dalla storiografia contemporanea.

Non a caso, tornato nel 1946 in Italia, Sturzo dispiegò il suo talento critico nel denunciare i pericoli di una ricaduta nella statolatria, sebbene depurata dagli eccessi autoritari del fascismo. Con La Pira e Mattei si scontrò a viso aperto, assumendo perciò un tratto di fustigatore dell’interventismo statale portato avanti dalla sinistra democristiana. Fu la bestia nera dei “catto-keynesiani”, per i quali assunse il profilo dell’avversario implacabile.

Fu Moro, nel settembre 1959, a poche settimane dalla morte, a ricostruire mirabilmente la figura intellettuale e politica del fondatore del Partito popolare. Da quella commemorazione bisognerebbe sempre partire, perché il liberismo di Sturzo, secondo l’acuta riflessione dell’allora segretario Dc, non può essere separato dalla visione anti-giolittiana, appartenente a un fronte vasto e variegato, da Salvemini agli scrittori de “La Voce”; visione da intendersi, negli anni del pre-fascismo, come rifiuto del pragmatismo deteriore e della corruzione, fenomeni di cui il sistema giolittiano era causa e fondamento.

Occorre scansare un pericolo, sebbene non sia affatto agevole da individuare. Oggi riproporre la figura di uno Sturzo puramente liberista e virtualmente ostile al solidarismo; non fare i conti perciò con lo sforzo compiuto a suo tempo da Moro nel rendere meno scontata e banale la descrizione della vita e dell’opera di questo grande interprete del cattolicesimo politico; ecco, alla fine, restringere e dunque manipolare l’immagine di Sturzo significa per le ragioni appena indicate, sia pure sommariamente, sconfinare nel campo di una fatale strumentalizzazione.

È un monito che Taradash dovrebbe avvertire, se il suo obiettivo in questa battaglia in nome di Sturzo, per offrire un’alternativa di saggezza e realismo all’Italia anti-populista e anti-sovranista, consiste nel creare le condizioni di unità o convergenza di quelle forze che oggi appaiono disperse e poco reattive. Se si sbagliano le premesse, è inevitabile che si estenda l’errore fino a un esito consequenziale. Per questo bisogna muovere i passi con cura e nella giusta direzione.

Una domanda si pone, comunque, alla fine di queste sintetiche considerazioni. È forse il tempo di un nuovo appello ai “liberi e forti”, dopo che l’originale del 19 gennaio 1919 fa bella comparsa, a sorpresa, sul profilo social di Taradash? In verità se ne parla con insistenza, per ora in ambiti ristretti ma non poco influenti, tanto da attribuire un valore diverso – merito indubbio del Card. Bassetti – a una discussione destinata tempo addietro a tracimare nel maremagnum delle chiacchiere a vuoto.

Senza dubbio, molti cattolici di genuina fede democratica hanno motivo di cogliere l’aspetto positivo di questa rilettura di Sturzo. Taradash, per altro, non si limita a togliere la polvere depositata sul programma sturziano di libertà e giustizia. Quando sottolinea, nelle righe finali del paragrafo 7 dell’Appello, il richiamo alla necessità di comporre le energie della nazione, veri e propri “nuclei vitali”, che attingendo nel medesimo tempo a “elementi di conservazione e di progresso” avranno potere di controbattere all’anarchia e alla disgregazione, egli non pensa evidentemente all’Italia del 1919, ma a quella dei nostri giorni, persa in un sentimento collettivo di rabbia e paura.

Anche se lunga, la citazione qui appresso riportata indica chiaramente quale sia il messaggio politico del nostro interlocutore: “Il soggetto antifascista sturziano ora si traduce così: un polo progressista e moderato, che unisca tutti coloro che, da qualunque latitudine o longitudine politica e civile provengano, hanno a cuore innanzitutto la democrazia liberale e lo Stato di diritto, le sue istituzioni, le sue connessioni internazionali, i suoi principi di libertà personale e solidarietà sociale. C’è questo accordo? E allora cominciamo subito a prepararci per le elezioni europee, a studiare un programma che unisca la necessità del federalismo europeo e di quello italiano, che propugni come condizione del benessere e della crescita un rinnovato rapporto fra Stato e cittadini in cui prevalga la libertà di scelta del cittadino e siano ben chiari i perimetri dei diritti e dei doveri in capo ad ogni individuo”(dal profilo Fb dell’autore).

Sono affermazioni, come si vede, che non lasciano spazio ad equivoci. Dunque, vale la pena prendere sul serio un confronto che è per adesso allo stato nascente. Guai a sciuparlo maldestramente, vuoi con facili entusiasmi, vuoi con antipatiche riluttanze. Si deve ragionare insieme, ciascuno con la propria sensibilità e vocazione, nel rispetto dei diversi punti di vista. È un compito, questo, che se vogliamo limitarci all’essenziale rimanda perlomeno a un obbligo di buona educazione, morale e intellettuale. E non è poco.