Tranfaglia mise sotto accusa De Felice. Anche lui dava spazio a un pregiudizio ideologico. Oggi sappiamo chi aveva ragione.

Una breve riflessione, a metà tra ricordo personale e ricostruzione storica, permette all’ex europarlamentare di ristabilire un giudizio equanime sulla figura del grande studioso del fascismo.

 

Silvia Costa

 

La scomparsa di Nicola Tranfaglia ha spinto a ricordare la polemica che l’oppose a Renzo De Felice, colpevole ai suoi occhi di favorire, nei difficili anni ‘70, una lettura pericolosa del fenomeno fascista. Erano forti le tensioni nell’Italia di quel periodo. Tuttavia, a distanza di molto tempo, emerge ancora più nitidamente il valore di De Felice, in origine di cultura marxista, attaccato per la libertà del suo lavoro intellettuale.

 

Mi piace, in questa circostanza, rendere una piccola testimonianza. Mi sono laureata a La Sapienza proprio con De Felice, all’epoca già riconosciuto per la qualità dei suoi studi: era un interprete autorevole della lezione di Federico Chabod. Quando nel 1972 gli proposi una tesi sul sindacato cristiano tra il 1918 e il 1926 – nella sostanza sulla gloriosa CIL di Valente e Grandi – accadde che lui, benché fosse di simpatie repubblicane, si dimostrò alquanto interessato al tema.

 

Da quel momento, infatti, mi ha seguito con dedizione e convinzione perché riconosceva che si trattava di un “opera pionieristica” rispetto alla più conosciuta e approfondita storia del sindacalismo socialista e/o marxista. Volevo dimostrare che c’era stato un movimento di ispirazione cristiana, popolare, interclassista e democratica, che aveva operato nel solco del riscatto sociale arricchendo la complessa esperienza sindacale; un sindacato che visse sulla sua pelle gli anni della repressione ad opera delle squadracce fasciste e che dopo la legge Rocco non aderì, in larghissima parte, all’invito sotto forma di suggerimento del Card. Gasparri affinché i cattolici dessero prova di lealtà verso il sindacato unico voluto dal Regime.

 

Una breve nota per concludere. L’opera di De Felice sul fascismo e le sue cause, nonché sulla larga adesione che registrò nel Ventennio, scatenò appunto le accuse di molti intellettuali del tempo che arrivarono a parlare di “sindrome di Stoccolma”, come se egli si fosse lasciato prendere o peggio ammaliare dalla sua stessa indagine. Accuse infondate e ingenerose, oltre che ideologicamente connotate, tanto che oggi i suoi studi rappresentano una pietra miliare nell’ambito della ricerca storiografica. Alla lunga De Felice ha avuto ragione.