TRATTIVD DI PACE IN UCRAINA, TRA FANTASIE E REALTÀ. IL PUNTO DI VISTA DI JEAN SU FORMICHE.

 

Durante la guerra non cessa la diplomazia tradizionale. Essa ricerca le condizioni che consentano di sostituire i negoziati ai combattimenti o di evitare lescalation di questi ultimi. Al momento, per comprendere cosa accadrà, bisognerà aspettare, forse, la primavera. Lanalisi del generale Carlo Jean.

 

Carlo Jean

 

Molti incominciano a essere stanchi della guerra in Ucraina. Tutti cercano di uscirne fuori, ma sono prigionieri delle decisioni che hanno preso. Nessuno vuole – e spesso non può – perdere la faccia e riconoscere di essersi sbagliato e che è disponibile ad accettare i compromessi, indispensabili in ogni negoziato. Tutti sanno che il conflitto potrà risolversi solo con trattative di pace. Nessuno vuole sbilanciarsi, definendone precondizioni realistiche. Per rafforzare le proprie posizioni negoziali e il consenso della propria opinione pubblica, tutti sono portati a dichiarare irrinunciabili i propri obiettivi e ad affermarsi sicuri della vittoria finale. Non è che la diplomazia sia scomparsa e che sia stata scacciata dal conflitto. Contrapporre armi e diplomazia è errato. Entrambi sono strumenti della politica e agiscono in modo coordinato fra loro. La strategia militare, cioè le cannonate, è una forma particolare di diplomazia, meno “carina” di quella che opera con negoziati e messaggi. Durante la guerra non cessa la diplomazia tradizionale. Essa ricerca le condizioni che consentano di sostituire i negoziati ai combattimenti o di evitare l’escalation di questi ultimi. Lo dimostrano i recenti incontri in Turchia fra i direttori della Cia e dell’Svr e, a Bali, fra Joe Biden e Xi Jinping. Gli sforzi diplomatici hanno un limite insormontabile: nessuno intende rischiare di perdere al tavolo dei negoziati quanto ha conquistato o spera di conquistare sul campo di battaglia. Se non ne esistono le condizioni, la richiesta di negoziati prematuri, urlata nelle piazze, è pura retorica.

 

Cresce comunque – e non solo in Europa – la preoccupazione che il conflitto si prolunghi. Lo ha ripetuto recentemente Vladimir Putin. Essa è giustificata, ma è difficile individuare una soluzione che ne renda possibile la fine. Una tregua d’armi, cioè un temporaneo “cessate il fuoco”, è improbabile. Faciliterebbe troppo Mosca, che deve addestrare i riservisti richiamati in servizio e riorganizzare le sue forze e la sua logistica. Una pace duratura è resa difficile dal fatto che l’aggressione russa all’Ucraina non ha mai, sin dal suo inizio, riguardato la sola Ucraina. Ha riguardato anche l’architettura del sistema di sicurezza europeo e, in senso più ampio ancora, le regole che governano l’ordine internazionale dalla pace di Westfalia. Mosca, infatti, contesta il principio della piena sovranità degli Stati che farebbero parte della sua “irrinunciabile” fascia di sicurezza. Essi non potrebbero scegliersi gli alleati che desiderano. Contesta poi il diritto dell’Ucraina di esistere e di conservare la sua integrità territoriale, peraltro garantita nel Memorandum di Budapest del 1994, nel quale Usa, Uk e Russia avevano riconosciuto le ragioni di Kiev, in cambio della sua cessione a Mosca del paio di migliaia di armi nucleari strategiche rimaste sul territorio ucraino. Resta infine sospeso il problema dell’identità stessa della Russia. Essa è sempre stata un impero multietnico, ma dovrebbe trasformarsi in uno Stato come tutti gli altri, ridimensionando tra l’altro il senso quasi mistico della sua missione universale, derivatole dall’Ortodossia e dai suoi legami con la politica. Un processo di pace non può quindi essere limitato all’Ucraina. Va allargato agli aspetti sopra ricordati. Per poterli risolvere, deve coinvolgere anche la Cina. La questione dovrebbe essere affrontata nella sua globalità nella Conferenza di Parigi del 13 dicembre. Essa dovrebbe anche approfondire il problema della dissociazione di molti Stati del Sud del mondo da quelli euro-atlantici, sintomo dell’esistenza di un profondo risentimento verso l’Occidente, forse accresciutosi per i ritardi degli aiuti di quest’ultimo ai primi per la lotta al Covid.

 

L’aggressione all’Ucraina è stata preceduta il 17 dicembre 2021 da una lettera del Cremlino agli Usa e alla Nato – in realtà da un ultimatum – con cui si intimava loro di ripristinare la situazione esistente nel maggio 1997, modificando gli accordi Solana-Primakov sul “Nato-Russia Founding Act”, minacciando in caso contrario un attacco all’Ucraina e ventilando anche un ricatto nucleare. Verosimilmente, le due lettere di Mosca erano finalizzate a una giustificazione dell’aggressione all’Ucraina, non ad un negoziato. Era un ultimatum non proposta. Conteneva, infatti, condizioni chiaramente inaccettabili. Malgrado ciò, l’Occidente si era dichiarato disponibile il 26 gennaio a un negoziato nel Consiglio Nato-Russia, sottolineando i punti che era possibile discutere e quali no.

 

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