TRE CONSIDERAZIONI SULLA CAMPAGNA ELETTORALE: NON SI POSSONO TACERE ELEMENTI GRAVI DI DISTORSIONE.

La funzione dei sondaggi, il lavoro di scrutinio nei seggi, la questione dei regolamenti parlamentari, sono tutti nodi politici che i partiti non hanno saputo o voluto affrontare nel corso della battaglia elettorale, ormai giunta al suo epilogo.

 

Condividendo la necessità di una presenza costante de Il Domani d’Italia nel dibattito politico, vorrei svolgere tre considerazioni sulla campagna elettorale ormai alla conclusione. Esse riguardano i sondaggi, i seggi elettorali e i regolamenti parlamentari.

 

I sondaggi. Il ruolo proprio dello strumento dei sondaggi è quello di registrare gli orientamenti dell’opinione pubblica. A tale fine sono soggetti a una specifica disciplina dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che ne ha stabilito i criteri scientifici, le modalità di esecuzione e le modalità di diffusione. Sulla parola sondaggio c’è dunque una precisa riserva di significato e di utilizzo. 

Da anni assistiamo invece a una torsione dell’impiego di questo strumento che ne stravolge la finalità e che in questa campagna elettorale, secondo me in un acquiescente silenzio dell’Autorità delle comunicazioni, ha raggiunto livelli paradossali. Invece che registrare orientamenti, i sondaggi sono diventati sempre più lo spregiudicato strumento attraverso il quale si cerca di indurre comportamenti. Se avete fatto caso, omettendo quasi sistematicamente ormai il corredo d’obbligo che va fornito su chi ha commissionato il sondaggio, quanti soggetti sono stati avvicinati, con quale metodo di casualità, quale è stata la effettiva percentuale dei rispondenti, etc.. 

Nei mesi scorsi i sondaggi sono stati una specie di alluvione continua, come le piogge che si auto rigenerano e danno vita ai disastri ambientali ai quali abbiano appena assistito nuovamente. Negli ultimi quindici giorni prima del voto è opportunamente vietata la loro diffusione, ma si continua a dare notizia degli ultimi disponibili, perpetuando il tentativo di indurre comportamenti dandoli per acquisiti. Nessuna forza politica ha messo in evidenza questo punto di fronte agli elettori.  

 

Seggi elettorali. Il tema non è nuovo se alle elezioni del 1909, proprio per questo motivo, Giovanni Giolitti meritò da parte di Gaetano Salvemini l’appellativo di “ministro della malavita”. Chi controlla quanto avviene nei seggi elettorali al momento dello scrutinio del voto? La letteratura politica in materia è gustosa, e poco edificante. All’inizio  del secolo scorso, Vilfredo Pareto scriveva che in questo campo si era formato un gergo speciale. Si aveva il “blocco” quando l’intero contenuto di un seggio elettorale veniva assegnato a un singolo candidato. Si aveva la “pastetta” quando gli veniva attribuita solo una parte delle schede. Nessun termine era stato ancora coniato per indicare i voti degli assenti, dei morti e degli elettori di fantasia.

Il padre di Benito Mussolini denunciò una volta che a Predappio erano stati registrati per le elezioni i nomi di cinquanta mucche. Un’altra volta il sindaco di un paese si scusò con Giolitti perché alcuni voti erano sfuggiti al controllo, ma i votanti erano stati puniti al punto da costringerli a emigrare. Giolitti commentò che forse era un po’ troppo. 

Io ricordo nei decenni scorsi come i partiti si premunivano contro i rischi di brogli, formando i propri rappresentanti di lista nei seggi. Oggi come funziona? Che cosa succederà nei seggi la notte e la mattina successiva del 25 settembre? Di questo elemento di garanzia non ho trovato traccia nel dibattito elettorale.

 

Regolamenti parlamentari. Si è parlato molto, e male, in campagna elettorale delle riforme istituzionali, in particolare della elezione diretta del Presidente della Repubblica. Un tema di tale rilievo si doveva proporlo con motivazioni più che documentate, invece di enunciarlo e basta. Tanto vale però per evitare che nei due rami del prossimo parlamento nessun raggiunga quella maggioranza dei due terzi che, nel caso, renderebbe possibile una tale riforma senza il ricorso al referendum confermativo previsto dall’articolo 138 della Costituzione. 

Un tema completamente disatteso dai partiti in campagna elettorale è stato invece quello di come modificare i regolamenti di Camera e Senato per adeguare il funzionamento dei due rami del parlamento, e l’indispensabile raccordo fra di loro, al taglio di 230 deputati e 115 senatori che avremo nella prossima legislatura. Il Senato ha già predisposto di ridurre a dieci le attuali quattordici commissioni permanenti, accorpando per esempio la commissione difesa e quella degli affari esteri. 

C’è una qualche regia politica in tutto questo, si stanno ulteriormente gettando le basi per un monocameralismo di fatto, che poi lo diventerà di diritto? E’ una questione democratica di importanza vitale dietro la cortina fumogena della montagna di promesse  elettorali non mantenibili fatte ai cittadini. 

Ecco, cari amici, ce n’è materia di attenzione per Il Domani d’Italia, a proposito del dibattito, che condivido, avviato sulla funzione del nostro giornale.