Uomo di governo e di partito, figura eminente della Prima repubblica, Amintore Fanfani è stato ricordato mercoledì 20 novembre in un convegno tenuto presso il Palazzo Vescovile di Arezzo (v. la testimonianza di Lucia De Robertis che ieri qui è stata pubblicata). Nell’occasione, il nipote Beppino ha proposto la rilettura di un brano della sua introduzione* al libro Amintore Fanfani e la sua terra”, Circolo “Verso l’Europa” di Olmo (Arezzo), Calosci editore, 2002. Ne riproduciamo di seguito il testo.

Non vi era frazione delle valli aretine, per quanto piccola, che egli non avesse calcato, così come non vi era nome di quella gente che gli fosse ignoto e che non conservasse nella sua memoria prodigiosa, ma soprattutto nel suo cuore, insieme a quello degli amici più cari, che non tralasciava mai di andare a trovare quando glielo consentivano i ritmi frenetici degli impegni politici, parlamentari e di governo.

E stupiva tutti allorquando, dal nome degli amici o da situazioni apparentemente di poco conto, traeva motivo per ricordare fatti storici e particolari inediti di una lunga esistenza, attraverso una dovizia di date e di riferimenti, che non dimenticavano mai di considerare le genti di Arezzo come una parte significativa dell’universo politico-istituzionale, al quale era collegato da un desiderio di centralità e di umanesimo universale che considerava l’ultimo dei poveri di Pieve Santo Stefano al pari del primo cittadino di Roma.

E non mancarono occasioni nelle quali volle che in Arezzo, prima che altrove, si sperimentassero novità politiche che dopo qualche tempo avrebbero fatto la loro comparsa nella scena nazionale e internazionale, quasi a voler cogliere il senso di scelte difficili nella reazione di una terra che traeva dall’impegno schietto, e dall’operosità concreta della gente, un criterio di analisi universalmente valido.

Lo vidi per l’ultima volta nella sua casa di Via Platone. Mi salutò da una poltrona tendendomi la mano, con un filo di voce, e con quegli occhi ancora pungenti che io conoscevo bene e che mi parve l’unica cosa che la Provvidenza avesse lasciato viva in un corpo ormai stanco.

Mi parlò di pittura e mi chiese di papà.

Papà era già morto, ma forse era l’ultimo legame che gli era rimasto con quella terra che aveva amato tanto.

*(Sul filo della memoria – titolo dell’introduzione)