Il massiccio dispiegamento di forze russo non è riuscito ad infrangere il legittimo e comprensibile orgoglio nazionale di Zelensky e della sua gente. Quanto all’Occidente, il sostegno militare continuerà ad essere determinante per la durata del conflitto. Non è dato però sapere fino a quando l’opinione pubblica europea continuerà ad approvarlo, temendo l’insorgenza di conflitti senza fine tra paesi che la globalizzazione ha reso sempre più interdipendenti.

A due mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, un primo bilancio del conflitto mostra, da un lato, un Occidente (più o meno) compatto nel contrastare con i mezzi a disposizione (militari ed economici) l’intenzione di Putin di sottomettere con la forza quel Paese e, dall’altro, il leader russo apparentemente sempre più determinato nel portare avanti il suo piano, riveduto e corretto “in itinere” alla luce delle sottovalutate difficoltà incontrate sul piano militare. Nel frattempo, il Ministro degli Esteri, Lavrov, ha laconicamente annunciato l’avvio della seconda fase dell’“operazione militare speciale” per consolidare la presenza russa nella zona meridionale del Paese (partendo dalla conquista di Mariupol), mentre, in parallelo, il suo portavoce ha comunicato che una proposta di accordo era già stata consegnata al governo di Kiev, subito smentito dallo stesso Zelensky. Tra Mosca e Washington sale la tensione attraverso reciproche neanche troppo velate minacce, mentre il Segretario Generale dell’ONU dovrebbe a breve incontrare Putin per uno scambio di idee sulla situazione.

In realtà, nulla sembra far sperare in una rapida conclusione del conflitto, seppur sotto forma di un “cessate il fuoco” interlocutorio. Né la perdurante intensità dei bombardamenti russi (volti anche a fiaccare il morale e la capacità di resistere di militari e civili asserragliati nelle aree urbane), che non risparmiano nemmeno il nord del paese, dove Kiev e Leopoli restano gli obiettivi prioritari. Né l’accanita resistenza delle forze armate ucraine, sostenute da sempre più potenti e sofisticati armamenti forniti dall’Occidente, che costituiscono per l’esercito russo, giorno dopo giorno, un baluardo difficile da abbattere.

In tali condizioni, Zelensky, che rifiuta a priori la cessione di porzioni di territorio all’invasore, resta disperatamente attaccato al carro degli Stati Uniti, della NATO e dell’Unione Europea, cui sollecita con insistenza una sempre maggiore e più qualificata assistenza militare per tenere viva la speranza di riuscire ad allontanare la prospettiva di una resa e, comunque, limitare al massimo le dimensioni di una possibile sconfitta. Quanto alla popolazione, essa continua martoriata nell’animo e nel corpo, alla completa mercé della soldataglia russa che la insegue, la bombarda, la sevizia, la saccheggia e le nega qualunque forma di pietosa indulgenza, obbligandola, nella migliore delle ipotesi, a fuggire, lasciandosi alle spalle averi ed affetti, per trovare rifugio ad occidente, oltre confine. Al riguardo, la speciale commissione delle N.U. avrebbe già accertato l’esecuzione di almeno cinquanta civili a Bucha ad opera delle truppe russe.

È un quadro sconfortante che fa già presumere, indipendentemente dagli esiti del conflitto, i contorni di un futuro, prossimo e remoto, caratterizzato da grande incertezza, nel quale si passa da un ipotetico scenario con al centro la divisione dell’Ucraina in due parti, una fortemente dipendente da Mosca (l’intero territorio meridionale) e l’altra ancorata all’Occidente, con un confine sul quale potrebbe calare la “cortina di ferro” (ossia la rivisitazione di un dramma già vissuto dalle generazioni in età più avanzata) ad un altro opposto, un vero incubo, marcato dai tragici postumi di  una guerra nucleare scatenata da una inarrestabile follia omicida collettiva ovvero da una accidentale manovra bellica all’origine di micidiali reazioni a catena.

Fra i due estremi, vari scenari intermedi (fra cui: demilitarizzazione o neutralità permanente dell’Ucraina, sua rinuncia all’ingresso nella NATO, presenza sul territorio di truppe di paesi garanti ecc. ecc.) all’interno dei quali, però, tutte le parti in causa risulterebbero alla fine più o meno sconfitte per non essere sostanzialmente, nessuna tra loro (seppur in misura diversa), stata in grado di far prevalere un sano buon senso sulla prevaricatrice volontà di piegare l’avversario o non farsi piegare.

Per il momento, il massiccio dispiegamento di forze russo e la terribile potenza di fuoco espressa non sono (almeno fino ad oggi) riusciti ad infrangere il legittimo e comprensibile orgoglio nazionale di Zelensky e della sua gente. Per cui Putin sembra deciso a continuare la guerra ad oltranza, senza nemmeno tentare di trovare un onorevole compromesso al tavolo del negoziato per far cessare l’abominevole sterminio di vite umane e la distruzione di fiorenti città depositarie di antica cultura. Forse, nella furia di aggredire che lo pervade, non ha ancora nemmeno del tutto perso la speranza di rovesciare Zelensky e controllare quel paese sulla falsariga di quanto avvenuto in Bielorussia.

In altri termini, se Zelensky teme (forse giustamente, dal suo punto di vista) che una capitolazione possa significare, per un verso o per l’altro, la cancellazione del suo paese dalla storia, Putin sembra ossessionato dal rischio che una mancata vittoria possa costargli perdita di potere e prestigio, a livello nazionale ed internazionale, avendoli ambedue messi pubblicamente in gioco nel prendere la decisione di invadere.

Ma c’è di più. Per l’Europa e gli Stati Uniti, una netta sconfitta ucraina obbligherebbe ad un più forte impegno per contrastare l’aggressiva volontà di espansione di Mosca, a cominciare dalla riorganizzazione dell’architettura di sicurezza europea da erigere sulla frontiera orientale, senza contare il peggioramento delle già visibili negative ripercussioni sull’economia prodotte dalle sanzioni, che costringerebbero, almeno per alcuni anni, le popolazioni occidentali a ridurre il proprio livello di vita.

In conclusione, tutte le parti in causa temono di perdere non poco in questa tragica vicenda bellica. Ecco perché un negoziato, già di per sé, si presenta ostico, essendone andamento ed esito strettamente collegati con la situazione bellica del momento. Di conseguenza, Putin continuerà presumibilmente a tergiversare almeno fino a quando non avrà acquisito la consapevolezza di non poter militarmente ottenere di più in termini territoriali.

Per Zelensky il limite massimo di resistenza dipenderà da vari fattori quali la volontà e possibilità di combattere del suo esercito, le dimensioni dell’assistenza militare occidentale, le forze e i mezzi bellici russi in campo, le vicissitudini del conflitto, il sacrificio imposto alla popolazione civile e molto altro.

Quanto all’Occidente, il sostegno militare continuerà ad essere determinante per la durata del conflitto. Non è dato però sapere fino a quando l’opinione pubblica europea, solitamente mutevole nella nostra società democratica, continuerà ad approvarlo, anche perché si nota nella società un allargamento del dibattito circa la possibilità di pacifica convivenza di democrazie liberali con regimi illiberali, pena l’insorgenza di conflitti senza fine tra paesi che la globalizzazione ha reso sempre più interdipendenti.

La possibile trasformazione dell’attuale conflitto in uno stato di belligeranza continua a bassa intensità rischierebbe di interrompere gradatamente l’appoggio a Zelensky di governi europei già incalzati, del resto, da una opinione pubblica contagiata da aneliti pacifisti e tendenzialmente incline a respingere sacrifici prolungati nel tempo.

È, molto probabilmente, quanto Putin spera possa, prima o poi, accadere…

 

Giorgio Radicati – Ambasciatore