Ucraina, il “peso” dell’Italia e lo standing di Draghi.

La Turchia, Paese Nato e tradizionale alleato della Germania dimostra che è possibile puntare a una soluzione diplomatica del conflitto. Ora, la fermezza e la responsabilità sostenute da Draghi gli consentono di porsi come riferimento internazionale per una linea di saggezza nel limitare i danni all’Europa derivanti dalla spirale di sanzioni non a lungo sostenibili sia sotto il profilo economico che sotto quello sociale.

 

Come interpretare il ruolo dell’Italia e del presidente del Consiglio Draghi nella crisi ucraina? Se si guardano i fatti, appaiono ingenerose gran parte delle critiche provenienti dall’opinione pubblica interna. A partire da quelle che segnalano l’assenza dell’Italia da vertici internazionali che avvengono secondo formati che purtroppo derivano la loro ragion d’essere da note e irreversibili ragioni storiche.

 

In realtà, almeno secondo la mia percezione, Draghi sembra stia dando prova di grande equilibrio e di avveduto pragmatismo su ogni fronte. Non combatte gli schematismi ideologici (cosa peraltro ormai di fatto vietata e impossibile in un dibattito pubblico sempre più a senso unico su ogni tema rilevante, questione da non sottovalutare nei suoi potenziali effetti), spesso dimostra di saperli superare con atti di governo.

 

Così sulla strutturale inadeguatezza delle pur importanti energie rinnovabili nel sopperire al fabbisogno del Paese, così, credo e spero presto, sull’altra grande emergenza, quella della gestione politica di una nota patologia medica.

 

Questa capacità dimostrata da Draghi di saper andare al cuore delle cose, con profonda coscienza della loro grande complessità, mi pare stia emergendo anche rispetto al conflitto in corso. Con la netta condanna della guerra e dell’invasione russa dell’Ucraina e nel contempo con la consapevolezza (poco o niente tenuta presente nel dibattito pubblico) degli eventi che hanno portato a un tale sviluppo, e del fatto che quello della regione del Donbass non è stato l’unico equilibrio infranto con questo conflitto. La posta in gioco è molto più ampia, riguarda la contesa per una nuova dislocazione dei poteri e delle sfere di influenza a livello globale, sia fra grandi potenze che al loro stesso interno trasversalmente. E di mezzo, come campo della disfida, c’è l’Europa con i suoi delicatissimi equilibri geopolitici interni, con la sua irrinunciabile proiezione atlantica non sempre all’insegna dell’armonia degli interessi.

 

È quindi possibile che la posizione di prudenza espressa sinora da Draghi, finisca nei fatti per rivelarsi il contrario dell’isolamento che qualcuno paventa, ma che possa consentirgli alla luce degli sviluppi degli avvenimenti (che non sono solo di natura bellica, ma che presentano cruciali ricadute economiche e sociali sull’Italia e sul resto dell’Europa), di guidare a livello internazionale una linea di saggezza nel limitare i danni all’Europa derivanti dalla spirale delle sanzioni.

 

D’altronde la Turchia, secondo esercito Nato – che oggi per inciso ospita ad Antalya il primo colloquio tra i ministri degli esteri russo e ucraino, Lavrov e Kuleba – sta lì a dimostrare che si può stare nell’Alleanza Atlantica, condannare la guerra senza per questo esser per forza ostili alla Russia. Un difficile equilibrismo, di cui però è fatta la diplomazia. Senza dimenticare che l’altra potenza manifatturiera europea, la Germania, manifesta nella fattispecie interessi molto simili a quelli dell’Italia (e questa è comunque una buona notizia per l’edificio europeo) e che è una tradizionale alleata della Turchia. Le posizioni del governo turco appaiono le uniche in questo contesto capaci di salvaguardare l’unità della coalizione occidentalie e nel contempo di allontanare i rischi di un allargamento del conflitto. Un ponderato avvicinamento dell’Italia alla Turchia in questa delicatissima fase ci consentirebbe nel contempo di dare più forza alle nostre istanze insieme a quelle della Germania (che sono distinte da quelle del blocco baltico e scandinavo, nonché da quelle del Regno Unito) e di fare a meno, anche volentieri, di una mediazione francese con Mosca. In prospettiva, già a partire dal prossimo mese, Roma e Berlino non avranno altra scelta, se vogliono evitare il collasso economico e sociale. Le sanzioni alla Russia infatti si vanno a tradurre in iperinflazione, drastica perdita di potere d’acquisto, stagflazione, scarsità, e a prezzi non più sostenibili, delle materie prime, blocco di moltissime attività economiche e industriali, possibili razionamenti di energia e cibo su popolazioni già stremate da due anni di emergenza di altra natura.

 

L’Italia e Draghi stanno guardando all’insostenibilità, per l’Europa, per l’economia globale e per le relazioni internazionali già, nel breve periodo, della situazione che si è venuta a determinare in seguito al conflitto ucraino. Come è già successo in passato, nel bene e nel male, il nostro Paese può divenire, se vuole, un laboratorio di rilievo internazionale anche nel cercare una non certo facile, nè priva di rischi e di contraddizioni, via per risparmiare alla nostra nazione, all’Ucraina, all’Europa tragedie peggiori di quelle che già vediamo.