Ucraina, l’impotenza della Croce Rossa internazionale: scene spaventose di sofferenza umana.

Noi siamo qui, in parte impauriti e impotenti, in parte desiderosi di porgere la mano. Ciò nondimeno, la solidarietà può salvare il mondo, come premessa ineludibile alla pace e al ritorno delle libertà perdute.            

 

Francesco Provinciali

 

La città di Mariupol – una delle più massacrate dai bombardamenti e dall’accanimento sui civili dell’intera Ucraina – non era riuscita fino ad oggi ad organizzare un corridoio umanitario per far evacuare la popolazione  che si sta accorpando in attesa dell’espatrio. La Croce Rossa internazionale non è riuscita nell’organizzazione di questa via di fuga dal massacro e riferiva ieri  in un comunicato che  ”Tra scene spaventose di sofferenza umana, un secondo tentativo di iniziare l’evacuazione di circa 200 mila persone è stato interrotto”.

 

Da fonti di agenzia si apprende che il Cremlino riferisce che i militari russi hanno impedito un ‘esodo mascherato’, il cui vero scopo sarebbe quello di utilizzare i profughi come scudi umani per proteggere le manovre militari dei nazionalisti guidate da Kiev, per prendere tempo e attaccare l’esercito inviato da Mosca. Ma le testimonianze della Croce Rossa e delle autorità civili di Mariupol riportavano notizie di uso delle armi dei russi sulla gente assembrata in attesa di salire sui convogli.

 

Ribaltando l’evidenza dei fatti, testimoniati dai coraggiosi giornalisti e dalle TV che mostrano un popolo ridotto all’inazione, gente che ha lasciato dietro le spalle case distrutte e ora tenta la salvezza dell’esilio, in città – ma quasi in ogni paese ormai – i centri commerciali hanno esaurito le scorte alimentari, non c’è pane, non c’è acqua , non ci sono cambi di abiti, specialmente anziani, donne e bambini patiscono una condizione di sofferenza fisica e morale insopportabile. Scene che ricordano il film ‘Schindler’s list’ e comunque l’accanimento dei tedeschi sui civili fatti prigionieri.

 

Si sta intanto materializzando, per quanto successo fino ad ora,  la distruzione totale di ogni simbolo di una normale condizione di vita: case, uffici, farmacie, negozi, tutto a poco a poco va scomparendo sotto i colpi inferti dall’esercito invasore. Poi la svolta in mattinata:  un cessate il fuoco è stato dichiarato dalle 10 di stamane (ieri per chi legge), ora di Mosca, e sono stati aperti sei corridoi umanitari, di cui uno da Kiev a Gomel (Bielorussia), due da Mariupol a Zaporizhzhya (sud-est Ucraina) e Rostov sul Don (Russia meridionale), uno da Kharkiv a Belgorod (Russia occidentale) e due da Sumy a Belgorod e Poltava (Ucraina centrale)”, ha detto il portavoce del ministero della Difesa Igor Konashenkov.

 

Mentre Kiev si organizza per resistere ad un imminente attacco dell’esercito invasore e Odessa attende l’attacco via mare in stile “D-day” , in altre città di ogni dimensione , compresi i piccoli centri, i civili si riparano nei bunker o tentano la via di fuga: questo non è possibile ovviamente nelle zone centrali del Paese per la lontananza dai confini nazionali, si parla di oltre un milione e mezzi di profughi già espatriati, in attesa di essere accolti dagli Stati limitrofi e dall’intera Europa.

 

La minaccia di Putin di far ricorso alle armi nucleari ha di fatto paralizzato sul nascere ogni ipotesi di intervento armato, a partire dalla ‘no- fly zone’, subito smentita: Il no dell’Alleanza Atlantica è perentorio ed ufficiale. Il rischio è che si inneschino delle conseguenze devastanti, che potrebbero portare di fatto a un conflitto mondiale. Zelens’kyj ha infatti richiesto all’Alleanza di valutare l’ipotesi di istituire una no fly zone sui cieli del Paese, e nonostante la Nato condanni aspramente l’invasione russa, la risposta del segretario generale Stoltenberg chiarisce la posizione dell’Alleanza: “Il Patto Atlantico è al fianco dell’Ucraina, ma non vuole essere parte del conflitto in corso. Non manderà il suo esercito e non manderà aerei nello spazio dell’Ucraina”.

 

Questa dichiarazione e la presa di posizione della NATO non va letta come segno di debolezza ma di calcolata lungimiranza: ogni intrapresa militare provocherebbe la reazione immeditata del Cremlino con conseguenze allo stato delle cose incalcolabile. Il mondo resta col fiato sospeso ma la freddezza con cui la NATO e ciascuno degli Stati membri ha risposto all’appello di Kiev, oltre a debolezze intrinseche,  va letta come parte calcolata di una strategia militare, che tiene conto di fattori geopolitici e geoceconomici. L’obiettivo è di fiaccare la resistenza russa: di fronte all’inattesa resistenza del popolo ucraino da un lato, all’azione incessante della diplomazia internazionale e dei Governi dei Paesi democratici dall’altro e – infine – alle conseguenze delle sanzioni che – se è vero che provocano un effetto boomerang su chi le ha intraprese – è altrettanto palpabile e tangibile quanti danni stiano provocando alla Russia che alcuni analisti internazionali danno sull’orlo del default, a cominciare dalle confische dei beni e delle proprietà estere degli oligarchi di Putin, alla capacità di resistenza e di tenuta economica del Paese stesso, dove il rublo vale ormai un centesimo, la Borsa è colata a picco, i pagamenti e i prelievi sono fermi, specie dopo la decisione di  VISA e MasterCard di bloccare le transazioni.

 

E qui pare doveroso sottolineare quanto possa essere doloroso che anche il popolo russo paghi le conseguenze catastrofiche di una decisione improvvida e scellerata, forse Putin ha fatto male i suoi calcoli, forse l’Ucraina ha reagito oltre le aspettative, forse la Russia si sta accorgendo di essere ormai politicamente isolata, poiché oltre la non caduta della NATO nel trabocchetto di una reazione militare (lo Zar reputa forme di neonazismo le intraprese difensive dei civili Ucraini e “dichiarazione di guerra “ le sanzioni economiche: avrebbe probabilmente dato seguito all’uso del nucleare in caso di “conflitto aperto”), vanno registrate le posizioni sornione e attendiste della Cina, della Corea e dell’India.

 

Una terza guerra mondiale porterebbe alla perdita totale di ogni razionalità e senso del limite alle azioni militari, in una escalation che avrebbe come esito quasi certo il “cupio dissolvi”, la distruzione del pianeta. Non bisogna confondere la strategia di vertice intrapresa da Putin e dai suoi oligarchi con il popolo russo, il suo desiderio di pace e non belligeranza dopo decenni e secoli travagliati,  la rilevanza della cultura russa nella formazione della civiltà europea. Bandire e sabotare iniziative celebrative ed evocative di figure come Tolstoj  e Dostoevskij è un suicidio della cultura e una ipotesi irrazionale e priva di ogni logica. Senza tener conto del fatto che in questi giorni il popolo russo è sceso in piazza e molti dissidenti sono stati arrestati. L’Accademia nazionale dei Lincei mi ha fatto pervenire un appello-denuncia  di molti intellettuali delle Università e delle Accademie russe che hanno preso le distanze dall’invasione dell’Ucraina, anzi l’hanno apertamente condannata, sfidando il regime.

 

Dopo la pandemia e in parte sovrapposta ad essa (bisognerà pensare alle misure di profilassi dei profughi) questa invasione armata non ci voleva. Dopo Gorbaciov ed Eltsin, dopo il crollo del muro di Berlino lo Zar Putin rispolvera la via dell’invasione armata del regime comunista: come a Budapest nel 1956, come a Praga nel 1968, tra poco toccherà a Kiev. Ma di questo avremo modo di parlarne a capitolazione avvenuta. Devastando il territorio ucraino e calpestando il diritto all’autodeterminazione del suo popolo, la bandiera, l’amore di Patria Putin ha fatto terra bruciata davanti a sé.  Una guerra fratricida che finisce in un bagno di sangue può portare ad esiti incalcolabili: da una parte e dall’altra si spera tocchi al popolo sovrano tracciare la via del futuro. La storia è maestra di vita ma l’uomo è un pessimo scolaro: per questo, sapendolo, rimuoviamo troppo in fretta il valore pedagogico della memoria.

 

Noi siamo qui, in parte impauriti e impotenti, in parte desiderosi di porgere la mano: la solidarietà può salvare il mondo, come premessa ineludibile alla pace e al ritorno delle libertà perdute. Ad una condizione: che ogni scelta, ogni sentimento, ogni azione passino al vaglio del pensiero critico e della coscienza che stanno dentro ciascuno di noi, ospiti troppo spesso inascoltati.