La proposta di estendere il diritto di voto ai 16enni lanciata dall’ex premier Enrico Letta ha raccolto, nei giorni scorsi, non solo l’appoggio del Pd e del M5s, ma anche quello dell’attuale presidente del consiglio.

Gli argomenti a favore del voto a 16 anni sono numerosi, e peraltro è una soglia che, per le elezioni locali, politiche ed europee, è già stata sperimentata in diversi paesi, anche dell’Unione Europea (Austria e Malta, per esempio, mentre in Grecia il limite è a 17 anni).
Però non bisogna credere che questa sia stata l’unica proposta che nel corso degli anni abbia fatto riflettere sulla questione  Maurizio Eufemi (deputato UDC) presentò il 7 Aprile 2004 un ddl per dare voto doppio a coloro che esercitavano la potestà di figli di età inferiore ai 18 anni.

Questo escamotage, serviva secondo l’autore, per rafforzare la componente elettorale dei più giovani, ma senza ricorrere alla formula del voto ai sedicenni.
Eufemi intendeva responsabilizzare, valorizzandola attraverso i genitori, la famiglia. Discutibile, ma non banale.

Sarebbe però un errore, quello di liquidare la proposta come una boutade, difatti l’interpretazione dell’Onorevole Eufemi non si può far prescindere da quello che era il dibattito che si era venuto a creare in quel periodo in Europa.

Nella relazione accompagnatoria del documento 15/1544 dell’11 settembre 2002 presentato al Bundestag tedesco da quasi una cinquantina di parlamentari di diverso orientamento politico, si spiega come sia opportuno riconoscere al minore il diritto di voto sin dalla nascita, al momento dell’acquisizione della capacità giuridica, e che i genitori siano chiamati ad esprimere il voto dei figli minori tenendo conto della progressiva maturazione, nel dialogo con loro, man mano che crescono, di loro propri orientamenti.
In Italia sono state le ACLI (Associazioni cristiane lavoratori italiani) a rilanciare la questione nel marzo del 2004, con un documento, «Un bambino un voto», del suo presidente Luigi Bobba e del professore Luigi Campiglio, pro-rettore dell’Università Cattolica di Milano.

L’idea del suffragio ai più piccoli in realtà parte da lontano. Si potrebbe addirittura risalire al 1848, quando il sacerdote e filosofo Antonio Rosmini, nell’elaborare la sua proposta di costituzione, affermò che il diritto di voto avrebbe dovuto essere esteso a ogni cittadino di sesso maschile, al quale sarebbe spettato pure il compito di votare per moglie e figli. Un voto per ogni bocca da sfamare.

Proprio per questo mi sembra doveroso riportare, nel link sottostante, il disegno di legge del 7 Aprile 2004.

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