Interessante e acuta, come sempre, l’analisi di Massimo Teodori sul Foglio di ieri, martedì 11 giugno.

Condivido la valutazione sul bipartitismo poco compatibile col DNA italiano e pure la necessità che il campo alternativo alla destra leghista e al populismo nostrano si articoli in maniera plurale non attraverso formazioni “satelliti” del PD, ma con aree riconoscibili per cultura politica ed autonome, che col PD costruiscano una ampia coalizione democratica.

Meno convincente mi sembra invece Teodori laddove immagina che la questione sia risolvibile con la nascita di un partito liberal democratico capace di interpretare gli elettori che “guardano alla società aperta” contro ogni sovranismo. Il punto è che questi elettori (ceti urbani, convinti delle opportunità della globalizzazione, sinceramente europeisti, favorevoli alle innovazioni sempre più spinte sul piano tecnologico, sociale e fin anche antropologico) votano già per il PD e il centro sinistra. Anzi, ne costituiscono ormai lo zoccolo duro.

La competizione con la destra si può vincere con proposte capaci di riconquistare gli altri elettori, quelli che guardano alla “società aperta e globale” con diffidenza e scetticismo, anche perché fino ad ora ne hanno toccato con mano solamente le ricadute negative sulla propria condizione di vita: fasce sociali con redditi bassi, ceto medio, cittadini delle aree interne, montane e rurali.

È su questo fronte che l’analisi di Teodori mi pare quantomeno parziale. Così come parziale trovo la sua rappresentazione della cultura del “popolarismo”, non riassumibile con la pur preziosa e straordinaria esperienza del pensiero dossettiano.

La DC – con l’impronta degasperiana – fu sintesi efficace di popolarismo e pensiero liberal-democratico.

La politica non si può fare con la nostalgia e riproporre formule ed esperienze appartenenti a fasi storiche terminate non porta da nessuna parte, se non all’uso strumentale e patetico delle vecchie simbologie, come si nota reiteratamente dagli anni novanta in poi.

E tuttavia, se un’area manca oggi all’appello delle forze democratiche capaci di riconquistare il consenso della maggioranza dei cittadini, contro la destra sovranista e il populismo, si tratta di questa. Con tutte le innovazioni che i tempi attuali impongono, ma con questa ispirazione culturale e politica.

Mi permetto infine, avendola vissuta direttamente, una precisazione sulla vicenda di Scelta Civica, che Teodori liquida in maniera troppo sbrigativa.

Essa fu un tentativo – non riuscito, ma ricercato con onestà intellettuale – di colmare un vuoto di rappresentanza già evidente in quegli anni. E fu promosso proprio da esponenti politici e civili delle due culture: quella del popolarismo di ispirazione cristiana e quella di matrice liberal-democratica.

Detto per inciso, non furono certo i primi a decidere ad un certo punto di entrare nel PD. Occorrerebbe in ogni caso indagare un poco più a fondo quella esperienza, che personalmente resto orgoglioso di aver concorso a far nascere, con le sue luci e le sue ombre.