Il 6 luglio 1976 presentai alla Camera dei Deputati, con alcuni colleghi democristiani, una proposta di Legge costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari e il superamento del bicameralismo paritario.

La proposta si collocava in un quadro istituzionale di salda impostazione democratica, con una Legge elettorale rigorosamente proporzionale e con il voto di preferenza che garantiva il fecondo collegamento tra eletti ed elettori.

L’obiettivo era quello di rafforzare la democrazia parlamentare in un clima di cultura costituzionale particolarmente attenta, dopo la nascita delle Regioni, alla centralità del Parlamento.

La Legge costituzionale ora sottoposta al voto referendario nasce da un’ispirazione radicalmente diversa, sostanzialmente antiparlamentare, dal disprezzo storico e politico della costruzione democratica dell’Italia, dalla puerile mitologia della democrazia diretta, da una concezione profondamente illiberale, come dimostra il progetto di introdurre il “vincolo di mandato” che cancella la libertà del parlamentare e annulla il principio della rappresentatività nazionale, decretando, in questo modo, la fine della democrazia parlamentare.

Non regge la tesi di chi sostiene che l’approvazione dell’attuale Legge costituzionale aprirebbe la strada a buone riforme istituzionali, che allo stato non si intravedono, mentre si realizzerebbe il paradosso per il quale una Legge costituzionale troverebbe la sua giustificazione in virtù di successive leggi ordinarie, capovolgendo così ogni logica legislativa e istituzionale.

Non può non preoccupare come in questo clima di dissacrazione della democrazia parlamentare affiorino tentazioni presidenzialiste e pretese di subordinazione dei parlamentari ad oligarchie di partito e perfino a oscuri personaggi, manipolatori di un’illusionistica democrazia diretta.

La posta è, dunque, alta ed è in gioco quale cultura politica e istituzionale dovrà ispirare il futuro della Repubblica italiana. Anche in caso di sconfitta una forte affermazione del NO può diventare un freno alla dilagante demagogia populista.