Una domanda scomoda: esiste ancora il voto cattolico?

Il pluralismo dei cattolici è ormai un dato incontrovertibile. Pensare di resuscitare un senso di appartenenza, senza avere gli strumenti che nel passato ne determinavano l’accettazione, rivela un mix di superficialità e strumentalismo. Anche nelle prossime elezioni amministrative il “voto cattolico” suppone l’esistenza di qualcosa che non c’è. Dobbiamo aggiornare la nostra piattaforma, per non scivolare sul terreno di pratiche velleitarie. 

 

Giorgio Merlo

 

Tra gli elementi ricorrenti che caratterizzano il voto amministrativo c’è sempre la domanda – solita, ripetitiva e adesso anche un po’ noiosa – su come si comporterà il voto cattolico. Ovvero, come si orienterà il voto dei cattolici nella singola competizione amministrativa. Certo, ci sono dei test importanti e significativi. A partire da alcune grandi città dove il risultato è tuttora incerto – penso in particolare a Roma e a Torino – ma, comunque sia, il tema interessa l’intero scenario nazionale.

 

Ora, per evitare equivoci ed inutili e sterili discussioni, ci sono almeno tre elementi che non possiamo non sottolineare quando si parla, ancora e anche un po’ tardivamente, di “voto cattolico”.

 

Innanzitutto il pluralismo politico dei cattolici è un dato largamente e storicamente acquisito. Nessuna rappresentanza esclusiva è possibile. Nessuno, cioè, può rivendicare di rappresentare in modo coerente e diretto il cosiddetto “voto cattolico”. Certo, noi sappiamo da ricerche specialistiche e demoscopiche, che il voto cattolico veleggia più verso il centro destra quando si parla di “praticanti” e di frequentatori anche solo saltuari della Messa domenicale, mentre coltiva maggiori simpatie per lo schieramento della sinistra quando affonda le sue radici nel mondo dell’associazionismo organizzato, giovanile e non solo.

 

Tuttavia sono e restano classificazioni un po’ astratte e che vanno sempre lette ed interpretate con serietà e con trasparenza. Cioè senza partigianeria e settarismi. Comunque sia, si tratta anche in questo caso di uno spiccato pluralismo delle singole opzioni politiche.

 

In secondo luogo non ci sono più i rappresentanti politici “ufficiali” del cosiddetto mondo cattolico. Un tempo, in condizioni diverse e in un contesto molto più semplificato, Carlo Donat-Cattin parlava di “cattolici professionisti”, mentre Mino Martinazzoli li definiva, ancor più sarcasticamente, “sepolcri imbiancati”.

 

Ecco, oggi nessuno può più ergersi ad essere l’interlocutore privilegiato se non addirittura esclusivo di alcuni settori del mondo cattolico. Sicuramente ci sono candidati e personalità politiche che continuano ad essere maggiormente interpreti di quella sensibilità culturale e delle istanze che provengono da quei mondi vitali; ma sono il frutto di esperienze del passato che ancora si trascinano nel nuovo contesto culturale, sociale e politico. E che prescindono, di norma, dalle stesse formazioni politiche contemporanee. Si tratta, cioè, di esponenti politici che storicamente hanno sempre mantenuto e coltivato rapporti con pezzi dell’area cattolica italiana e in virtù di questo collegamento continuano ad essere punti di riferimento politico e anche istituzionale.

 

In ultimo, questa situazione concreta che si vive in tutte le grandi città italiane dove si andrà al voto amministrativo, al di là delle singole specificità e caratteristiche, evidenzia ancora di più la oggettiva impossibilità di dar vita a formazioni politiche cattoliche o di ispirazione cristiana. Certo, per tutti quelli – come me e come migliaia di altri amici disseminati in tutta la penisola italiana – che hanno vissuto da protagonisti o meno quelle storiche esperienze, dalla Dc al Ppi ad altre formazioni politiche, è del tutto ovvio che si continua a coltivare una grande simpatia per quei partiti e per quelle stagioni politiche. Ma sono proprio le tendenze e le costanti politiche e sociali contemporanee a dirci che quelle esperienze, seppur rinnovate e modernizzate, non sono più riproponibili. O meglio, lo sono solo se accettano di ridursi a giocare un ruolo puramente ed esclusivamente testimoniale. Com’è accaduto in questi lunghi venti anni nella concreta dialettica politica italiana. Partiti e movimenti che possono, anzi debbono, continuare a rifarsi all’ispirazione cristiana in politica e alla tradizione del cattolicesimo democratico, sociale e popolare ma che, al contempo, non possono riproporre meccanicamente le esperienze organizzative del passato.

 

Ecco perchè, alla vigilia di una interessante e decisiva campagna elettorale per il rinnovo di molte grandi amministrazioni locali del nostro paese, è bene essere chiari su cosa significa oggi, e non ieri, il cosiddetto “voto cattolico”. Per evitare equivoci, fraintendimenti, confusione, strumentalizzazioni e furbizie varie di molti candidati.