UNA ROAD MAP PER USCIRE DALLA MORSA DELLA POVERTÀ. IL CONTRIBUTO DI PADRE ALBANESE SULL’OSSERVATORE ROMANO.

Un recente rapporto delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), intitolato “Avoiding: To little, too late”, sull’alleggerimento del debito internazionale segnala cinquantaquattro economie di Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di una riduzione urgente del debito a causa delle crisi globali in atto a livello planetario. Achim Steiner, amministratore dell’Undp, ha sollecitato una serie di misure, fino addirittura la cancellazione del debito; l’offerta di un sollievo più ampio ai Paesi colpiti dalla crisi; e persino l’aggiunta di clausole speciali ai contratti obbligazionari per fornire respiro durante le crisi. È evidente che la soluzione per venire incontro alle necessità dei Paesi svantaggiati, africani in primis, è quella di una concertazione, nell’ambito del consesso delle nazioni, che tenga conto dell’auspicata New Economy di Papa Francesco.

Sono cinquantaquattro le economie di Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di una riduzione urgente del debito a causa delle crisi globali in atto a livello planetario, con particolare riferimento agli effetti del Global Warming. Lo si evince da un recente rapporto pubblicato lo scorso 11 ottobre, dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp) intitolato “Avoiding: To little, too late” sull’alleggerimento del debito internazionale.

Lo studio si riferisce a Paesi che rappresentano, dal punto di vista demografico, quasi il 18 per cento della popolazione mondiale e oltre il 50 per cento di tutte le persone che vivono in condizioni di povertà estrema. I rischi determinati da un’eventuale inazione, rispetto al progressivo deterioramento della situazione economica globale, sono inquietanti. Infatti, se questi Paesi — tra i più vulnerabili agli effetti dei gas serra, 25 dei quali sono nella macroregione Subsahariana — non otterranno l’accesso a un’efficace ristrutturazione del debito, la povertà aumenterà a dismisura e verranno meno gli investimenti necessari nel contrasto ai cambiamenti climatici. Da rilevare che i 54 Paesi con gravi problemi di indebitamento rappresentano, paradossalmente, poco più del 3 per cento dell’economia globale. Non solo, guardando proprio all’Africa, meno del 4 per cento delle emissioni globali di gas serra sono generate da questo continente. Queste considerazioni, in sostanza, pongono una questione che, prim’ancora che essere politica o economica, è etica: perché devono essere proprio loro, i Paesi poveri, a pagare il prezzo più alto?

Il rapporto dello Undp propone una road map da seguire per operare l’indispensabile ristrutturazione del debito, concentrandosi su aree chiave: analisi della sostenibilità del debito, coordinamento dei creditori ufficiali, partecipazione dei creditori privati e utilizzo di clausole sul debito statale che mirano alla futura resilienza economica e fiscale.

Lo Undp propone pertanto una ricalibrazione del cosiddetto Common Framework for Debt Treatment beyond the Dssi adottato dal G20 insieme al Club di Parigi, per fornire una soluzione strutturale ai Paesi a basso reddito con livelli di indebitamento non sostenibili. Concettualmente, esso dovrebbe essere in grado di fornire un quadro comune di riferimento per il trattamento del debito dei singoli Paesi, per poi valutarlo caso per caso, in base alle richieste dei Paesi debitori eleggibili.

In risposta a queste richieste, è prevista la convocazione di un comitato dei creditori i quali negoziano con la controparte sulla base delle analisi sulla sostenibilità del debito, fornite dal Fondo monetario internazionale (Fmi) e dalla Banca mondiale (Bm). Lo Undp propone di fare un passo ulteriore in avanti, rispetto alla prima formulazione del Common Framework for Debt auspicando innanzitutto un indirizzo mirato sulle ristrutturazioni globali che consentiranno, in chiave globale, un ritorno più rapido alla crescita e conseguentemente allo sviluppo.

È comunque evidente che la ristrutturazione del debito è solo un aspetto, certamente quello più rilevante, per garantire che le economie di questi Paesi fortemente svantaggiati dispongano delle finanze necessarie per compiere progressi nello sviluppo sostenibile. Sono pertanto necessarie anche altre fonti di finanziamento affinché queste economie nazionali intraprendano iniziative efficaci per far fronte ai cambiamenti climatici.

Achim Steiner, amministratore dell’Undp, ha sollecitato una serie di misure, tra cui la riduzione se non addirittura la cancellazione del debito; l’offerta di un sollievo più ampio ai Paesi colpiti dalla crisi; e persino l’aggiunta di clausole speciali ai contratti obbligazionari per fornire respiro durante le crisi. Lo Undp ritiene che i Paesi ricchi dispongano delle risorse necessarie per porre fine alla crisi del debito, che si è rapidamente deteriorata in parte come conseguenza delle loro politiche interne. Steiner è giustamente convinto che non sia lecito ripetere l’errore di fornire «troppo poco sollievo e troppo tardi», ai Paesi poveri nella gestione dell’onere del debito.

Purtroppo, pochi giorni dopo la pubblicazione del rapporto dello Undp, si è svolta una riunione ai massimi livelli del Comitato monetario e finanziario internazionale (Imfc) e del Comitato per lo sviluppo del Gruppo della Banca mondiale dove sono state prese in esame le proposte formulate dallo Undp; e il risultato è stato ben al di sotto delle aspettative. Al termine dei lavori, Steiner ha dichiarato che «mentre il mondo lotta con molteplici shock economici e crisi politiche (…) la risposta delle Nazioni del G20 e delle istituzioni finanziarie internazionali in questo momento critico rimane inadeguata per mobilitare la liquidità e le misure di alleggerimento del debito urgentemente necessarie per contrastare un ulteriore deterioramento delle prospettive economiche per molte economie in via di sviluppo».

Di fronte a questo scenario, anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, è sceso in campo, sottolineando con forza che il sistema multilaterale ha bisogno di attuare un Piano «Sdg Stimulus» urgente e di vasta portata, che inizi con azioni immediate di liquidità e riduzione del debito per consentire alle economie in via di sviluppo di raggiungere gli obiettivi di sviluppo globale. In un comunicato diramato il 14 ottobre scorso, lo Undp ha insistito sulla necessità di liquidità a breve termine per le economie in via di sviluppo, particolarmente quelli dell’Africa Subsahariana, per sostenere gli sforzi di ripresa nel breve termine. «I problemi di liquidità non sono ingestibili: ci siamo già misurati con il covid-19, quando le economie del G7 hanno fornito 16 trilioni di dollari di liquidità tra il 2020 e il 2021. Le banche centrali hanno, e possono ancora una volta, fornire liquidità alle economie in via di sviluppo ed emergenti», ha dichiarato Steiner, precisando che l’«Fmi può espandere le sue linee di credito di emergenza e accelerare la ricanalizzazione dei diritti speciali di prelievo».

Ribadendo poi l’urgenza di una ristrutturazione del debito, Steiner ha sottolineato la necessità di una spinta urgente per finanziare gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Oss) e gli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi, in linea con le priorità e le esigenze ogni singolo Paese.

Una cosa è certa: alla luce di queste considerazioni, tenendo soprattutto conto degli effetti devastanti non solo della pandemia e della crisi russo-ucraina, ma anche dei cambiamenti climatici, è evidente che la soluzione per venire incontro alle necessità dei Paesi svantaggiati, africani in primis, è quella di una concertazione, nell’ambito del consesso delle nazioni, che tenga conto dell’auspicata New Economy di Papa Francesco.

Occorre certamente un nuovo ordine economico-finanziario che tenga conto dei diritti di tutti a partire dal mercato delle materie prime, delle tecnologie e dei prodotti chiave, scongiurando che alcuni attori internazionali esercitino una leva geopolitica indesiderata a scapito di altri.

Pertanto è oggi più che mai necessaria la convocazione di una conferenza a livello di capi di Stato e di governo, simile a quella di Bretton Woods del 1944, ma anche più inclusiva e rappresentativa, per definire globalmente un nuovo e più giusto sistema monetario, finanziario e commerciale, anche attraverso meccanismi di controllo che tengano a freno, ad esempio, la speculazione selvaggia che inquina i mercati. In effetti, se così fosse, i 54 Paesi indebitati di cui sopra non sarebbero certamente oggi nella condizione in cui versano.

Fonte: L’Osservatore Romano – 21 ottobre 2022