Che fare da qui alle elezioni politiche? Una nuova proposta dei riformisti non può venire dal partito dei sindaci. In giro, causa la mancanza di “maggioranze reali”, ci sono tante “anatre zoppe”. Bisogna definire a monte, perciò, il disegno di una nuova coalizione di centro sinistra in grado di vincere nel 2023.

Il dato dell’affluenza al termine dei ballottaggi ha confermato la scarsa partecipazione in questa tornata elettorale che riguardava numerose amministrazioni locali. Ciò è tanto più grave quanto più evidenzia un malessere in evidente espansione, anche nel contesto delle autonomie locali. Di regola l’astensionismo colpisce la politica nazionale, non la dimensione comunitaria di grandi e piccoli centri. Invece, soprattutto nelle principali città chiamate al voto, stavolta ha tradotto in formula plastica l’apatia di massa, come se il cittadino medio abbia momentaneamente staccato la spina volendo denunciare la perdita di valore della politica, o meglio di “questa” politica.

Si cerca di capire, ma intanto appare chiaro il messaggio di un elettorato che patisce la dissoluzione di parametri finora intangibili. Chi ne ha pagato il prezzo più consistente? Senza dubbio il centrodestra, visti i risultati di ieri che vedono sul podio del vincitore il Pd e i suoi alleati. Non è solo l’effetto di un contraccolpo tecnico, ovvero il precipitato della demotivazione così conclamata nell’ambito di quel segmento elettorale un tempo egemonizzato da Berlusconi; è anche, in termini seri e concreti, la tendenziale ripresa di tono del riformismo, oggi corroborato dall’azione di Draghi e quindi assorbito, non senza vantaggio, nella manovra laboriosa di Letta.

È necessario allora valutare bene le possibili evoluzioni. Questa spinta sotterranea alla trasformazione del “fattore Draghi” in scelta elettorale consapevole, può essere intercettatata con successo dal Pd o si rende piuttosto obbligato un percorso più largo, con la ricostruzione di un’alleanza più equilibrata tra il centro e la sinistra? L’interrogativo chiama in causa la responsabilità dei cattolici democratici. Essi, in parole povere, possono rafforzare il loro impegno nel Pd o lanciare una prospettiva diversa, quella di un centro democratico e progressista in grado di garantire un assetto più maturo della coalizione riformatrice. 

Nella grande scatola dell’astensionismo ci sono elementi vari – interessi, bisogni, volontà – che non hanno una loro nitida conformazione. Siamo in presenza di un magma che solo l’abilità della politica può adattare a una figura precisa. Se questa abilità manca, la figura non prende forma: perché dovrebbe emergere, dunque, un profilo più forte del riformismo a fronte di una fragilità di proposta complessiva? Non basta affidarsi al buon esito delle amministrative. Tutto è plausibile, infatti, meno l’affaticarsi attorno alla ritessitura di un partito dei sindaci. In giro ci sono tante “anatre zoppe”, appunto per colpa della scarsa rappresentatività di sindaci senza maggioranza reale, alle quali non si può chiedere ausilio per rilanciare dal basso la proposta del centro sinistra. Il problema, si sarebbe detto nel ‘68, è a monte.