“Il mondo non è fatto di primi, vincitori e vincenti, ma di secondi, terzi, ultimi, di gente che arriva fuori tempo massimo pur sputando sangue.”. Era questo l’approccio di una cronaca ‘complessa’ con cui Zavoli facendo informazione serviva la gente, non compiacendola ma posizionandola in prossimità della verità. Come lo ha oggi ricordato Matteo Marani, già direttore di Sky Sport 24, il suo lascito al giornalismo odierno sta soprattutto nel vocabolario: quello di Zavoli di una ricchezza straordinaria, che gli permetteva un linguaggio piano, garbato, lontano da eccitazioni, e nello stesso tempo ricco di ogni sfumatura non dovesse essere trascurata. Più vocabolario = più scelta e più servizio.

Zavoli, che approfitta del Giro d’Italia per mostrare agli italiani che nella pancia del gruppo ci sono loro, i loro figli e le loro storie di fatica, tutti gregari, fa storia facendo cronaca. Dà dignità mediatica a chi non era mai in TV a dire “Mamma sono contento di essere arrivato uno!”. E per questo, per fare del Giro un grande racconto corale dove i più, i peones, hanno alla fine di ogni tappa la loro ribalta, resta mitica l’intervista a Lucillo Lievore nella 21a tappa del Giro del 1966: aveva 38 minuti di vantaggio sul gruppo ma è Zavoli che lo informa per strada, i poveri non avevano diritto ad essere accuditi dalla propria squadra. “Quanto manca?”, fa Lievore affranto. E Zavoli: “Una quarantina di chilometri… coraggio Lievore!”. “Mmh, sono in crisi, ho paura mi riprendano,… tanto non ce la faccio…” (Nessun povero si aspetta di vincere.) “Lei è fidanzato?”, lo incalza Zavoli. “No!”. “A chi dedica questa vittoria?”. “Ai miei genitori e alla mia squadra…”. Povero vicentino! E difatti davanti aveva il cremasco Scandelli, che gli rifila quindici minuti. Poi Zavoli nel post gara – “Processo alla tappa” – si scusa con Lievore: non aveva avuto il coraggio di dirgli in corsa che aveva sì seminato il gruppo ma davanti aveva un altro.

Per questo Zavoli fa crescere il Paese: perché i secondi, i terzi, i quattordicesimi ‘fanno’ il Giro d’Italia e non sono militi ignoti di contorno agli Anquetil e ai Motta. Ma non compiace i secondi posti, bisogna puntare a vincere e nello stesso tempo bisogna maturare la sicurezza mentale che vincere non è tutto, che non siamo meri erogatori di performances. Segue la filosofia di Gimondi (“il Domani d’Italia”, 19 Agosto 2019, Provinciali): educare i ragazzi a prender parte, ad esserci, a relazioni che non devono ‘far fuori’ nessuno. Come ebbe a dire in una intervista di qualche tempo prima: essere in corsa ha senso anche se arrivi tredicesimo, sono questi che fanno vincere i primi.