Zingaretti, aprendo a destra nel Lazio, distrugge la sua candidatura a leader del PD

Oggi, a sorpresa, Giacomini entra dunque a far parte del quadro di governo allargato del centrosinistra a guida Zingaretti.

Zingaretti sceglie l’uomo sbagliato, il quale se l’è cavata con eleganza, non entrando nel merito delle ragioni che hanno portato alla sua designazione a Presidente del Parco di Veio. Gianni Giacomini, una vita spesa nella politica di territorio, in quel lembo di periferia nord tra la Cassia e la Flaminia, che da sempre costituisce lo scrigno elettorale della destra romana, si è limitato ad esprimere la sua soddisfazione. “Sono onorato di questa designazione; mi aspetta un gravoso incarico. Il Parco di Veio è un’importante realtà con diversi problemi da affrontare, dai cinghiali alle discariche abusive. Mi impegnerò a fondo, come ho sempre ho fatto nella mia vita politica”.

Giacomini non è outsider. Si forma politicamente nella Democrazia cristiana, divenendo negli anni ‘70 a Prima Porta un caposaldo della corrente fanfaniana. Poi però passa con Vittorio Sbardella, contribuendo a rafforzare il rigido controllo che questi imporrà nel partito attraverso un uso massiccio delle leve di potere amministrativo. Alla scomparsa della Dc trasmigra in Forza Italia, lungo un percorso che lo porterà ad esercitare nel XX e oggi XV municipio un suo personale ruolo da protagonista. Dal 2008 al 2013 ricoprirà la carica di mini-sindaco, battendo alle elezioni il candidato del centrosinistra, Gaetano Rizzo, già assessore con Veltroni.

Oggi, a sorpresa, Giacomini entra dunque a far parte del quadro di governo allargato del centrosinistra a guida Zingaretti. Quale sia la motivazione non è dato formalmente di sapere; o meglio, in pratica si sa molto bene, essendo questa nomina il “prezzo” che paga il Presidente della Regione per l’appoggio dei due transfughi della destra, Cangemi e Cavallari, alla sua compagine consiliare. Eppure si era detto, al momento dell’annuncio, che l’operazione avveniva per “senso di responsabilità”, non prefigurando scambi o accordi di natura politica.

In realtà la scelta di Cangemi e Cavallari prevedeva delle contropartite, evidentemente definite al riparo – fatto molto grave – del giudizio della pubblica opinione. Zingaretti ha operato in spregio delle regole di correttezza e trasparenza. La sua è stata una manovra impostata male e sviluppata, come si vede, ancora peggio. Non è nemmeno il ritorno alla Prima Repubblica, perché azioni tanto spregiudicate non si potevano contemplare all’epoca della democrazia dei partiti di massa. Quando in piena solidarietà nazionale si afrangiò il gruppo dirigente del Movimento sociale e una parte di esso, guidata da Ernesto De Marzio e Raffaele Delfino, dette vita a un gruppo parlamentare intenzionato a sostenere il governo Andreotti, non ci fu nessuna intesa e nessun compromesso in vista di un ipotetico allargamento a destra delle basi del governo. I fondatori del nuovo gruppo (Democrazia Nazionale) rimasero fuori dall’area dei partiti che garantivano, con la “non sfiducia” prima e il patto di maggioranza parlamentare poi, la sopravvivenza dell’Esecutivo. Per giunta, alla fine della legislatura, la Dc di Zaccagnini non accolse la richiesta di candidatura dei deputati e senatori ex missini.

Dunque, Zingaretti ha compiuto un atto che reca discredito a se stesso e al suo partito. L’uomo che aveva detto no alla Lorenzin, oggi parlamentare del centrosinistra, ha detto sì maldestramente a un piccolo drappello proveniente dalla destra. Realismo? Fino a un certo punto. Non si discute la volontà di rafforzare il governo regionale accaparrandosi il voto di due consiglieri, il cui apporto consente di avere una maggioranza stabile in Consiglio regionale; così, però, ricorrendo alla peggiore prassi trasformistica, si colpisce la credibilità del partito cardine del centrosinistra. È lecito chiedersi, pertanto, se la discesa agli inferi del compromesso di potere possa dischiudere l’accesso all’empireo della politica nazionale, accreditando le ambizioni di chi si candida a guidare “da sinistra” il partito del Nazareno. Zingaretti dovrebbe compiere un gesto di onestà, l’unico in grado di rimuovere le obiezioni che nascono da questa discutibilissima nomina, rinunciando a presentarsi come futuro leader del Pd.

Non è detto che la cura del Parco di Veio e la lotta ai cinghiali debbano ricadere necessariamente sulle spalle di Giacomini.