Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, ha lanciato la proposta/provocazione di un nuovo Pd e, di conseguenza, di un partito nuovo dopo il risultato delle elezioni regionali dell’Emilia Romagna. Una proposta che non va affatto sottovalutata e che va presa seriamente per le corna da parte di tutti coloro che ritengono percorribile un cammino politico in un partito riformista, plurale e inclusivo. 

Certo, periodicamente nella storia della sinistra italiana irrompe la necessità di dare una sterzata al profilo e all’organizzazione del partito di riferimento in quel particolare momento storico. Alcuni organi di informazione lo hanno già ricordato in questi ultimi giorni dopo la recente uscita del segretario nazionale del Pd. Ed è inutile, pertanto, ritornarci. Semmai, una riflessione specifica si rende necessaria proprio sul profilo politico che il futuro partito di centro sinistra potrebbe avere. A partire proprio dalla sua natura plurale. 

Ora, su questo versante mi limito a fare tre considerazioni secche. 

Innanzitutto va sgombrato il campo, e definitivamente, dal rischio di ridare vita ad un “partito della sinistra italiana”. Quella è una stagione archiviata. O meglio, il partito della sinistra non è compatibile con le ragioni fondative e con l’esperienza concreta del Partito democratico così come si è venuto definendo in questi ultimi anni, seppur con alti e bassi com’è naturale per un grande partito. Per capirci, e al di là della propaganda e della strumentalizzazione di rito, il futuro Pd non può essere la naturale prosecuzione della storia, della cultura e dalla prassi politica ed organizzativa della sinistra italiana. Il Pd è, come credo sia ovvio a tutti, è un’altra cosa. Politica, culturale, ideale e programmatica. 

In secondo luogo non si può non essere d’accordo con Zingaretti quando persegue concretamente l’obiettivo di un partito inclusivo e largo. Su questo versante, in effetti, si gioca la vera sfida e la più grande scommessa del futuro Partito democratico. E un partito inclusivo, di conseguenza, non può essere un movimento ideologico o un soggetto politico mono culturale. Bene, quindi, l’apertura alle novità che ultimamente hanno caratterizzato il panorama politico italiano, anche se non ci si può limitare ad inseguire acriticamente tutto ciò che fa spettacolo. Anche perché la durata di questi fenomeni rischia sempre di essere talmente breve che diventa difficile anche solo puntare ad un investimento in vista della definizione di un progetto politico a breve /media scadenza. Non sempre la novità è sinonimo di solidità e di progettualità politica. 

In ultimo, ed è l’argomento che più mi interessa quando si parla di un “nuovo Pd”, penso al ruolo, alla funzione e alla rilevanza pubblica della cultura cattolico popolare e cattolico democratica. Al netto, com’è ovvio, del profondo e consolidato pluralismo politico che caratterizza anche questo filone culturale. Un ruolo, comunque sia, che può essere e diventare importante se riesce laicamente a ritrovare le ragioni di una progressiva unità all’interno del Partito democratico. Una unità politica, e auspicabilmente anche organizzativa, che può essere feconda e necessaria per dare anima e contenuto ad un soggetto sempre più inclusivo, aperto e plurale. Non penso, com’è ovvio, ad una nicchia confessionale o identitaria. Non rientra, del resto, nella nostra tradizione e nella nostra esperienza. Ma, al contrario, una assunzione di responsabilità politica e culturale all’interno di un partito che, piaccia o non piaccia, ha un futuro se riesce ad essere autenticamente plurale. Come è stato congegnato, del resto, sin dal suo inizio. E su questo versante si può e si deve scommettere anche sull’attuale superamento della frantumazione politica ed organizzativa di un’area che era e resta decisiva per segnare e condizionare la stessa identità politica e culturale del Partito democratico. 

Ecco, quindi, tre considerazioni concrete che possono accompagnare la proposta/provocazione avanzata da Zingaretti. Tre considerazioni che richiedono, però, coraggio, coerenza e determinazione. Ingredienti necessari per dare un futuro stabile e credibile all’esperienza politica del Partito democratico.