Zingaretti, ovvero Bersani 4.0

più partito old style, più rimaneggiamento delle vecchie parole d’ordine della sinistra, più disciplina e organizzazione per un forte rilancio sul territorio

Nel Partito democratico i motori sono accessi da tempo, ma la gara non ha inizio. Sì ragiona ancora su un’unica candidatura ufficiale (Zingaretti) e altre non ancora formalizzate (Minniti). Forse anche Martina sta pensando di entrare in gioco rinunciando al suo ruolo attuale di arbitro. Renzi nel frattempo si mantiene a debita distanza dai possibili contendenti, anche se manifesta interesse per la candidatura di Minniti.

Ci sono differenze di linea politica? In un certo senso, se prima sembravano più marcate, essendo una parte del gruppo dirigente favorevole all’accordo con i Cinque Stelle, ora sembrano molto più ridotte. Sì è andata consolidando l’opzione di Renzi, quella di una opposizione senza sconti e a tutto campo, al riparo da qualsiasi tentazione di “scorporo” dei grillini dal blocco giallo-verde. Ciò nondimeno, l’unità che sembrerebbe palesarsi non favorisce una costruzione più solida di ragionamenti e prospettive. Sì cade nella banalità.

È fatale, allora, che sul candidato più accreditato, e finora senza reali contendenti, si appunti la critica che nasce dal confronto con tale banalizzzione dei problemi nazionali. Zingaretti, non avendo da offrire (per ora) un’alternativa sul piano della politica delle alleanze, si rifugia nel generico e fumoso prospetto delle cose buone da fare. Il suo “nuovo” Pd non è né carne né pesce, salvo incorporare la vocazione a un rilancio dello spirito della gloriosa sinistra. Come, però, non si sa e non si spiega.

Da ciò deriva, nel dibattito degli ultimi giorni, la tendenza a edulcorare il messaggio politico. Zingaretti parla di tutto e non dice niente. Semmai, dovendo mobilitare la base, evoca il ritorno a un partito “à la Bersani”, facendo del suo stile un qualcosa di omologabile a un “Bersani 4.0”: più partito old style, più rimaneggiamento delle vecchie parole d’ordine della sinistra, più disciplina e organizzazione per un forte rilancio sul territorio. In questo modo, se poi vincesse le primarie, sarebbe Zingaretti il vero affossatore del partito.

Oggi non è più tempo di un Pd che torna ad essere, aggiungendo la “s” alla propria sigla, la sinistra del secolo trascorso. Non ci sono più le condizioni per questo ritorno all’indietro. Il bersanismo in versione aggiornata, con più furbizia e meno ardimento, non è la risposta alla crisi del Pd. È piuttosto la riprova che il cambiamento non s’inventa, dal momento che le facili giaculatorie per attirare consensi finiscono per non entusiasmare nessuno. Forse non se ne rende conto davvero, ma Zingaretti recita una giaculatoria convinto di essere, per questo e per altro, l’interprete del riscatto dei Dem. Invece, in mancanza di una linea politica concreta, i gesti sobri ed educati del Presidente della Regione Lazio possono contribuire ad aggravare la frustrazione che pesa sul Nazareno.