27 gennaio 2019: il “Giorno della Memoria” per non dimenticare!

Ecco perché è importante, per tutti, ricordare la frase di Levi “ Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,”

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,” in questa frase di Primo Levi, scrittore, partigiano, chimico e poeta, (morto nel 1987, a Torino a 67 anni) è racchiusa la filosofia della memoria e del ricordo, perché con lo scorrere degli anni e del tempo, si fa sempre più forte che il rischio e la rimozione inghiottiscano le grandi tragedie del Novecento, di cui la Shoah è certamente il simbolo.

Quando pensiamo all’efferatezza di un gesto, alla razionalità cinica applicata alla morte, all’impiego della tecnica come sistema di devastazione umana ci viene in mente, davanti a ogni altro fatto, l’Olocausto degli ebrei e di tutti quegli uomini, di diverse nazionalità, (rom e sinti, omosessuali, malati di mente, portatori di handicap, oppositori politici) che vennero ritenuti indesiderati e indesiderabili dalla follia nazista.

In un bellissimo libro “Se questo è un uomo” di Primo Levi, scritto tra il dicembre 1945 e il gennaio 1947, considerato un classico della letteratura mondiale, racconta attraverso un romanzo di vita vissuta, in prima persona, la testimonianza e le esperienze drammatiche, nel periodo in cui fu deportato in Polonia, nella Seconda Guerra Mondiale nei lager di Auschwitz (nome tedesco della città polacca).

La vicenda – che Levi descrive – inizia dall’arresto avvenuto la notte del 13 dicembre 1943, fino al momento della liberazione, dal Lager di Buna Monowitz nei pressi di Auschwitz, la mattina del 27 gennaio 1945.

“ Non è più un uomo,” chi si riduce e viene ridotto allo stato di bestia per sopravvivere, oppure chi ha messo in moto un perverso meccanismo di sistematica distruzione e morte, e chi ha obbedito per vigliaccheria o fanatico zelo, e chi sapeva e ha fatto finta di non sapere, chi sospettava ma ha girato lo sguardo per non vedere, chi ora conosce la verità e continua a negarla. Adesso questo peccato, il non essere stati uomini pesa su tutta l’umanità, e l’unico modo di espiare e continuare a ricordare, perché tutto ciò non abbia a ripetersi. Questo, in sostanza, il messaggio che veicola il libro.

Il “ Giorno della Memoria” è una ricorrenza internazionale celebrata il 27 gennaio di ogni anno, dell’ ONU, nei paesi europei e dal 2000 anche nel nostro Paese, la legge italiana la definisce così:

“La Repubblica Italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria,” al fine di ricordare la Shoah ( catastrofe, distruzione,       sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.”

In Italia questa ricorrenza, che viene celebrata con molte attività pubbliche, promosse dalla Presidenza della Repubblica, dalle Regioni, dalle Provincie e dai Comuni, da significative iniziative dei Ministeri, come quelli per i “Beni e le Attività Culturali” e della “Pubblica Istruzione,” perché indica, a tutta la comunità nazionale, l’importanza dei valori in cui si riconosce lo Stato democratico attraverso la nostra Costituzione.      

In particolare nel mondo della scuola dove insegnanti, genitori e soprattutto studenti, studiano e approfondiscono la conoscenza del senso di cittadinanza, prendendo maggior coscienza dei valori della libertà, della pace, della non violenza e dell’amicizia tra i popoli e le culture.

In questi ultimi anni sono aumentati le iniziative come il “Viaggio della Memoria,” a Auschwitz, nell’ambito del Protocollo d’intesa siglato tra Ministero dell’Istruzione e Unione delle comunità ebraiche, promosse dalle Regioni e dai Comuni ( a Roma e nel Lazio i “ Treni della Memoria” vengono organizzati da oltre 15 anni) per gli studenti delle scuole superiori.  

Queste iniziative vengono valutate, dal Ministro della Pubblica Istruzione, come “ esperienze importanti del modello formativo della nostra scuola e questo  aiuterà a crescere e a far diventare cittadini migliori gli attuali studenti; questo è quello che deve fare la nostra scuola, anche nei prossimi anni.”

L’aiuto dei media, in particolare televisione e quotidiani, oltre alle testimonianze e alle conferenze, per ricordare questa ricorrenza è notevole, perché nella nostra Europa, i paesi hanno adottato  carte costituzionali democratiche e rispettose dei diritti fondamentali, anche se alcune frange estreme e minoranze xenofobe tentano periodicamente, in diversi paesi, di far prevalere teorie e comportamenti di tipo razzista, ma le società e la pubblica opinione reagiscono in maniera forte e consapevole, contrastando questi fenomeni pericolosi per l’umanità e convivenza civile.

I crimini contro l’umanità commessi dai regimi dittatoriali, al potere nel secolo scorso, sono portati come esempi di degenerazione politica e morale.

Ecco perché visitare il campo di concentramento di Auschwith, luogo simbolo della Shoah, e gli altri luoghi di detenzione, significa mantenere vivo un insegnamento attuale che non si può dimenticare, così come accadde al senatore americano Alben W. Barkley, membro del Comitato del Congresso degli Stati Uniti, una personalità politica della statura di Roosevelt e Truman, in ricognizione nel lager di Buchenwald, il 24 aprile 1945, ripete quel grido di dolore e di speranza:

“Mai più,” che fu lanciato dopo l’apertura dei cancelli di Auschwitz.

Due visite significative, nel corso degli anni trascorsi, hanno caratterizzato ciò che resta di quel luogo, ( che dal 1979, è patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, ed è visitabile dal pubblico), le visite di due Papi: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, ed hanno assunto valori simbolici profondi.

La prima, circa quaranta anni fa, il 7 giugno 1979, Papa Wojtyla, figlio del popolo polacco, disse: “ Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui. Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire come Papa. Sono sei milioni i polacchi, che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione. Non lo dico per accusare, ma per ricordare.”

La seconda, quasi tredici anni fa, il 28 maggio 2006, Papa Ratzinger, durante la visita disse: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un papa che proviene dalla Germania.

In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio, un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo?” E ripetendo le parole di Giovanni Paolo II: “ Non potevo non venire.”

Continuando con emozione: “ Era un dovere di fronte alla verità. Io, figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali, raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di recupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicchè il nostro popolo pote essere usato ed abusato, come strumento della loro smania di distruzione e di dominio.”

A distanza di settantaquattro anni, quando l’Esercito russo arrivò ad Auschwitz, all’alba del 27 gennaio, è possibile fare un bilancio delle persone morte in quel sito dell’orrore e del terrore?

Un bilancio preciso delle persone morte non esiste, alcune valutazioni parlano di quattro milioni di vittime, ma una ricostruzione storica sull’insediamento  di Birkenau, nel complesso del campo di concentramento di Auschwitz, certifica che persero la vita oltre un milione e cinquecentomila persone, uccise in gran parte nelle camere a gas e i cadaveri venivano distrutti in quattro grandi crematori, ( questa è una stima minimale), che operavano ininterrottamente giorno e notte, spesso non riuscivano a smaltire le eccedenze di cadaveri, nonostante le notevoli capacità distruttive delle installazioni di sterminio. Una valutazione complessiva delle vittime  dell’Olocausto, da parte dei nazisti e dei loro alleati, dal 1933 alla metà degli anni Quaranta, è di circa quindici milioni di persone, secondo le ricerche e le valutazioni del U. S. Holocaust Memorial Museum di Washington.

Esistono, in memoria di cittadini deportati in campi di sterminio nazisti, le “Pietre d’inciampo,” una iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig, presente in diciannove paesi europei, attualmente, al 2016, ne sono state installate oltre 56.000 “pietre.”

Concretamente, la memoria consiste in una piccola terga d’ottone della dimensione di un sampietrino, posta davanti alla porta della casa in cui abitò il deportato, sulla quale sono incisi il nome della persona deportata, l’anno di nascita, la data e il luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta, per ricordare chi si voleva ridurre soltanto a un numero. Un inciampo non fisico, dunque, ma visivo e mentale, per far fermare e riflettere chi vi passa vicino. Anche se la maggior parte delle “pietre d’inciampo” ricordano vittime ebree dell’Olocausto, alcune sono in memoria di persone, gruppi etnici e religiosi ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazista.

Nel Giorno della Memoria del 2010, a Roma, la prima città in Italia, furono collocate le prime 30

pietre d’inciampo in sei Municipi, altre 54 nel 2011, in altri cinque Municipi. Nello scorso dicembre a Roma, nel Rione Monti, si è registrato un furto di venti “pietre”, suscitando preoccupazione per questo atto scellerato. Il nome in tedesco, delle pietre d’inciampo, è Stolpersteine.

Quest’anno, la Presidenza della Repubblica del nostro Paese ha ricordato la “Giornata della Memoria” il 24 gennaio, con una solenne cerimonia al Quirinale, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Nel discorso ufficiale, il Presidente Sergio Mattarella, tra l’altro ha rivolto un monito parlando della Shoah, e ha richiamato l’attenzione sui pericoli sempre presenti, come i simboli e i linguaggi di odio,  precisando: “Quel male alberga nascosto, come un virus micidiale, nei bassifondi della società, nelle pieghe occulte di ideologie, nel buio accecante degli stereotipi e dei pregiudizi. Pronto a risvegliarsi, a colpire, a contagiare, a distruggere, appena se ne ripresentino le condizioni.”

Ecco perché è importante, per tutti, ricordare la frase di Levi “ Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario,” aiuta ciascuno di noi a riflettere e a ragionare, sui crimini che hanno sconvolto l’umanità il secolo scorso.