3 maggio 1979. Assalto delle Br al Comitato romano della Dc, cadono nello scontro a fuoco due agenti di PS.

 

La cerimonia in memoria di Antonio Mea e Piero Ollanu si svolgerà domani mattina, alla ore 10.30, con la deposizione da parte della Polizia di Stato di una corona sotto la targa in marmo che ricorda il sacrificio degli agenti. Subito dopo l’associazione “Amici di Piazza Nicosia”, recentemente costituita sulla base di un ampio documento di analisi e considerazioni sulla esperienza democristiana a Roma, testimonierà egualmente la commossa riconoscenza per l’atto eroico compiuto 43 anni fa da servitori dello Stato in divisa.

 

Redazione

 

Tornare ai quei giorni di violenza, con il terrorismo brigatista apparentemente inarrestabile, è un duro esercizio di memoria. Dopo l’eliminazione di Moro si voleva colpire direttamente la Dc, le sue strutture fisiche, minando il rapporto che essa aveva con il tessuto civile della nazione e della città in particolare. Molti sono gli interrogativi ancora aperti sul “caso Moro” e quindi sull’episodio cruento del 1979 nel cuore della capitale. Forse l’agguato di Piazza Nicosia si sarebbe potuto evitare se fosse stato scoperto, in base a una segnalazione del generale Dalla Chiesa, emersa nei lavori della Commissione Moro 2 presieduta da Giuseppe Fioroni, il covo brigatista di via Montalcini, non tanto in quanto presunta prigione di Moro, ma in quanto appartamento in cui aveva vissuto il vertice della colonna romana delle Br già dal 1977 e fino al 1979, in particolare: Mario Moretti, Prospero Gallinari, Anna Laura Braghetti. La Braghetti comprò l’appartamento nel 1977, ospitò Gallinari anche la sera prima del sequestro di via Fani e un anno dopo, nel 1979 a Piazza Nicosia. La stessa brigatista fece fuoco per prima nel 1980 contro Vittorio Bachelet, uccidendolo.

 

 

Ecco cosa hanno scritto a riguardo Giuseppe Fioroni e Maria Antonietta Calabrò nel libro che ha sintetizzato le nuove scoperte della Commissione Moro 2.

 

 

 

  1. A. Calabrò – G. Fioroni, Moro. Il caso non è chiuso. La verità non è detta, Lindau, 2019, capitolo II – Il box, una scatola troppo piccola (pp. 37-38).

 

Tuttavia, se il covo vicino a Villa Bonelli fosse stato scoperto nell’estate del 1978, parte della successiva storia italiana sarebbe stata diversa. Altro sangue forse non sarebbe stato versato.

 

La Braghetti, diventata clandestina subito dopo la tragica conclusione del sequestro dello statista Dc, partecipò in prima persona ad alcune delle più cruenti azioni della colonna romana delle Br. In particolare, il 3 maggio 1979 durante l’irruzione in una sede della Dc, in Piazza Nicosia a Roma, aprì il fuoco contro la volante della Polizia di Stato accorsa dopo l’allarme. Nella sparatoria rimasero uccisi i due agenti Antonio Mea e Piero Ollanu.

 

E forse si sarebbe salvato Vittorio Bachelet. Iscritto alla Democrazia Cristiana, amico e ammiratore di Aldo Moro, Bachelet nell’immediato dopoguerra era stato redattore capo della rivista di studi politici «Civitas», diretta da Paolo Emilio Taviani, e dal 21 dicembre 1976 vice presidente Consiglio Superiore della Magistratura, del quale fece parte come membro «laico», cioè eletto dal Parlamento in seduta comune con un’amplissima maggioranza costituita praticamente da tutte le forze che componevano il cosiddetto «arco costituzionale».

 

Il 12 febbraio 1980, al termine di una lezione, mentre conversa con la sua assistente Rosy Bindi, viene assassinato da un nucleo armato delle Brigate Rosse, sul mezzanino della scalinata che porta alle aule professori della facoltà di Scienze politiche della Sapienza, colpiti con sette proiettili calibro Winchester.

 

A sparare per prima fu proprio la Braghetti.