Dopo la più grande operazione trasformistica del secondo dopoguerra, la politica italiana è destinata a cambiare in profondità. Nulla sarà più come prima. Certo, è perfettamente inutile ricordare ciò che ormai tutti – o quasi tutti – sanno. Ovvero, il sostanziale “terrore” dei due partiti che si accingono a governare, delle elezioni anticipate perché sarebbero state sconfitte dalle urne. Almeno così hanno sostenuto ripetutamente i leader dei due partiti. La conferma del seggio, e quindi dello stipendio, per un arco di tempo non breve per gli eletti. Il tutto condito e giustificato dal fatto che, come da copione, siamo di fronte al rischio della “minaccia fascista”, del pericolo di una “dittatura” strisciante, del restringimento delle “libertà democratiche”, della “concentrazione dei poteri” e via discorrendo con queste amenità. Oltre a queste considerazioni, peraltro note e ormai straconosciute da tutti, il governo Pd/5 stelle introduce anche un altro tema, sino ad oggi non così platealmente confermato e anche teorizzato. E cioè, d’ora in poi la cosiddetta “coerenza” in politica diventa sostanzialmente un optional, un accessorio, un elemento del tutto estraneo ed avulso dalla dialettica politica italiana. Ci si può insultare per 10 anni esaltando, scrivendo, sostenendo, votando, evidenziando le diversità insormontabili e invalicabili tra due partiti e dopo, nell’arco di pochi giorni, siglare addirittura un “accordo politico”, di “lunga durata” , “strategico” e quasi “storico”. Tutto cancellato, tutto rimosso, tutto azzerato. Appunto, è scomparsa ogni sorta di coerenza politica, culturale, programmatica e anche di natura comportamentale. Ma, ripeto, si tratta di considerazioni e di riflessioni talmente note e conosciute che non meritano neanche di essere ulteriormente commentate. 

Quello che, invece, merita un supplemento di riflessione dopo il varo del governo degli ex nemici irriducibili 5 stelle/Pd, è il destino di quello che comunemente e per molti decenni si è chiamato “l’alleanza di centro sinistra”. È un dato altrettanto scontato che l’alleanza con un partito antisistema, populista, assistenziale, giustizialista e con l’obiettivo di favorire una “decrescita felice” segna la fine – momentanea o definitiva lo verificheremo nei prossimi anni – di quella esperienza che ha segnato in profondità la storia politica italiana. Una alleanza che, seppur nelle diverse fasi storiche, ha saputo elaborare politiche e ricette di governo frutto dell’incrocio e della sintesi fra le migliori culture riformiste e costituzionali del nostro paese. È persin ovvio ricordare che l’accordo storico e di lunga durata con il partito di Grillo e Casaleggio, come lo definisce Zingaretti, chiude quella pagina e ne apre un’altra del tutto diversa che, ad oggi, non si capisce ancora quale ne sarà il profilo, la natura e soprattutto il progetto politico e di governo. Ma, al di là di ogni considerazione, è del tutto evidente che si chiude una lunga fase storica e si apre una nuova pagina. Ancora tutta da decifrare e da scrivere. Del resto, che si chiuda una pagina lo dicono le tonnellate di insulti, di contumelie, di diffamazioni, di attacchi personali e politici che hanno accompagnato i rapporti tra gli esponenti principali di quei 2 partiti da oltre 10 anni e che sono stati misteriosamente ed inspiegabilmente sospesi da circa 15 giorni. E cioè, per elevarla su un terreno politico – si fa per dire – una contrapposizione politica frontale che per alcuni lustri ha caratterizzato i comportamenti a livello nazionale e a livello locale tra i due partiti e che poi si sono sciolti come neve al sole in pochissimi giorni. 

Ora, per chi crede ancora che una prospettiva politica, culturale e programmatica di centro sinistra possa ancora dare un contributo importante per la vita di questo paese, non può rinunciare a riproporre un patrimonio che è stato decisivo per la stessa qualità della nostra democrazia e per la credibilità della cultura riformista italiana. A cominciare da quelle culture e da quei filoni ideali che in questi decenni non hanno rinunciato a dispiegare, seppur tra mille difficoltà e contraddizioni, la loro potenzialità nelle diverse fasi storiche. Penso, nello specifico, alla tradizione e alla storia del cattolicesimo democratico e popolare che non può essere sacrificata sull’altare di uno spregiudicato disegno trasformista e di potere. 

Certo, i conti si fanno sempre con i dati che la realtà di volta in volta ti propone. Anche quando si tratta della più grande operazione trasformistica del secondo dopoguerra. Però, alla fine, forse la coerenza alle proprie radici e alla propria cultura potrà ancora giocare un ruolo decisivo per rafforzare la nostra democrazia e irrobustire il miglior riformismo democratico, costituzionale e sociale del nostro paese.