Il 1° giugno del 1970 ci lasciava Giuseppe Ungaretti, uno dei più grandi poeti della letteratura italiana e mondiale di sempre, padre dell’ermetismo, sulla scia delle sue liriche lo seguirono Montale, Quasimodo, Saba e poi Caproni: forse ciascuno di loro, nel proprio tempo, più celebrato di lui.

Ad esempio fu Eugenio Montale a vincere meritatamente il premio Nobel nel 1975, a motivo anche di un eclettismo nell’espressione scritta, come poeta ma anche come scrittore e giornalista,  ciò che non riuscì ad Ungaretti, nonostante gli venga tuttora riconosciuta dalla critica letteraria la paternità di una svolta che aprì le porte del Novecento – a partire dalla pubblicazione de “Il porto sepolto” e del  “Sentimento del tempo”-  alla poesia che rompeva gli schemi rigidi della metrica per abbracciare quello che fu definito il simbolismo, fino ai limiti di una critica (feroce da parte di Benedetto Croce) del suo implicito, eccessivo frammentismo.

Eppure Ungaretti viene unanimemente riconosciuto come il precursore di una modernità che armava il pensiero di briglie sciolte, di slanci vitali incomprimibili  e di intuizioni folgoranti.

Così anche senza Nobel, ma poi senatore a vita, Ungaretti è stato ed è tuttora il poeta più amato dai giovani studenti: ricordo le sue apparizioni televisive come commentatore dell’Odissea, fu uomo geniale e ricco di sentimenti, in grado di spaziare dal dolore alla speranza, dalla trincea – luogo di costrizione e di sofferenza – all’introspezione intimista, capace di esprimere nel modo più personale e struggente emozioni intense e vicine alla vita di ciascuno.

Lasciamo ai critici letterari l’esegesi del letterato e del poeta, le disquisizioni più pertinenti  e facciamoci trasportare dalla delicatezza dell’introspezione, dalla scoperta delle nicchie dell’anima che stanno sopite e nascoste fino a quando non gli si dà voce.

La profondità dei sentimenti evocati nei suoi versi è luogo di simboli e di vissuti, dove ognuno sulle onde dell’immaginazione ritrova se stesso: in questo dono di comunicazione e di evocazione sta l’universalità della sua poesia.

La forza dirompente dello scrivere era il modo più immediato per comunicare sentimenti profondi, come – usando un paragone forse improprio ma significativo- riusciva al Professor Keating de ‘L’attimo fuggente’.

Esistenzialista e intimista, futurista e radicato profondamente nella cultura classica, sapeva far sintesi attraverso le doti di una genialità sempre sorprendente e inarrivabile.

E qui bisogna fermarsi con pudore e rispetto davanti alla imperscrutabile  grandezza del genio.

Uomini come lui riscrivono senza volerlo le regole dell’alfabeto del cuore: “ho fatto il poeta nei ritagli di tempo” diceva di se stesso, ammettendo che un poeta si esprime meglio se parla con i giovani.

“La mia poesia è nata a Parigi, in un cafè dove ci si riuniva, provenienti da ogni Paese; incontrando Soffici, Palazzeschi, Papini …. Il mio alter ego era Apollinaire, il mio maestro spirituale Leopardi e dopo di lui , ma insieme a lui, Mallarmè”.

“In loro ritrovavo l’antichità e l’attualità del tempo e del suo senso.”

“Nell’intensità della poesia di Leopardi e Mallarmè capii che la poesia è tale se porta in se’ un segreto”.

Nella profondità singolare di tale segreto ci lascia in dono la possibiltà di essere poeti di se stessi: ciascuno di noi è infatti depositario e portatore di un segreto.

Rifuggiva i vizi della retorica, del sentimentalismo e delle liriche crepuscolari.

Avremmo bisogno oggi più che mai, in epoca di omologazione culturale e di luoghi comuni blaterati in tutta la loro inconcludente autoreferenzialità di uomini e di poeti come lui, capaci di illuminarci d’immenso, con folgoranti scintille di luce.

La tuttologia della globalizzazione ci separa dai ritagli di tempo in cui ci si sente poeti, dai silenzi ispiratori, dai miracoli che scaturiscono dalla profondità dell’anima.

Oggi è tempo di linguaggi sincopati ma inconcludenti e di professioni nuove, legate all’apparire più che all’essere: influencer, esperti e soloni di ogni tipo che si accontentano di raspare la crosta della vita, senza sussulti ed emozioni interiori. Sono i venditori di una felicità apparente ed effimera che dalla poesia e dalle bellezze della vita , se mai , ci allontanano.