A CASA DI SANTA PRISCA. PROSEGUONO GLI STUDI ATTORNO ALL’ANTICO EDIFICIO CRISTIANO ALL’AVENTINO.

Alla storia dell’edificio di Santa Prisca, sul colle Aventino, sono stati dedicati molti e approfonditi studi. E molto ancora si dovrebbe fare, per conoscere un sito che conserva le memorie cristiane tra le più antiche dell’Urbe.

Rocco Ronzani

Alla storia plurisecolare dell’antico edificio cristiano dell’Urbe che porta il nome di Santa Prisca, sul colle Aventino, sono stati dedicati molti e approfonditi studi e, tuttavia, meriterebbe ancora una rilettura, sotto l’aspetto archeologico e architettonico, ma anche storico e artistico. Sono state studiate ampiamente le preesistenze classiche, specialmente dopo la scoperta del mitreo del III secolo negli ambienti ipogei della chiesa. Molto resta da indagare sulla storia del monumento e delle istituzioni religiose che nel corso dei secoli si sono avvicendate nella custodia. Si rende necessaria anche la rilettura della vicenda della santa titolare che, inizialmente identificata con la martire del III secolo, fu retrodatata dallo storico della Chiesa cardinale Cesare Baronio al I secolo. Si avvalorava così la tradizione del suo battesimo da parte di Pietro e si completava la “memoria apostolica”: Paolo vi avrebbe dimorato, in alternativa alla domus alla Regola, e Pietro avrebbe svolto qui il suo ministero, celebrando l’eucaristia per una delle più antiche comunità cristiane di Roma e battezzandovi Prisca. Alla valorizzazione della memoria apostolica dell’Aventino è collegata anche la più cospicua presenza di testimonianze araldiche presenti nell’edificio sacro e nella sua cripta, realizzata e affrescata per permettere ai pellegrini di giungere più da vicino al sottosuolo che, agli occhi degli ecclesiastici deputati alla custodia, conservava verosimilmente le memorie cristiane tra le più antiche dell’Urbe.

Proprio l’episodio del battesimo è stato uno dei più valorizzati in occasione del giubileo del 1600. Committente dei lavori di restauro fu Benedetto Giustiniani, cardinale del titolo presbitoriale tra il 1599 e il 1611. La riscoperta e la promozione delle memorie paleocristiane dell’Urbe, centro della cattolicità, assumeva un ruolo nella polemica antiprotestante. Tra le grandi sintesi storico-erudite di quegli anni vanno segnalati in particolare proprio gli Annales del cardinale oratoriano Baronio, in rapporto con il Giustiniani.

È merito di Daniela Gallavotti Cavallero aver illustrato la centralità della figura di san Pietro nel ciclo di affreschi commissionati da Giustiniani a Santa Prisca. A completamento dei riferimenti iconografici petrini, già puntualmente rilevati dalla studiosa, vorrei richiamare l’attenzione sul catino absidale dove l’affresco che rappresenta attualmente sant’Agostino, frutto di una maldestra ripittura collocabile tra XIX e inizi del XX secolo, soppianta certamente l’immagine originale di un san Pietro in cattedra al quale rinviano chiaramente i simboli papali retti da angeli: la tiara, la ferula pontificale e le chiavi petrine.

Restano da indagare i motivi della presenza di due santi identificati dalla studiosa con san Benedetto e sant’Antonio abate. Il primo sarebbe stato «scelto in quanto santo eponimo del committente», il cardinale Benedetto Giustiniani; per il secondo Gavallotti Cavallero non trova motivazioni abbastanza ovvie. In realtà, il secondo santo non è identificabile con Antonio, bensì con il riformatore benedettino Giovanni Gualberto (995-1073), santo fondatore della riforma di Vallombrosa. La figura, infatti, è rappresentata con l’abito monastico vallombrosano, recante in mano il bastone a forma di tau con due manici terminanti nelle caratteristiche protomi leonine, che è poi la ferula araldica rappresentata anche nell’arme dei Vallombrosani. Il richiamo è al primitivo progetto del cardinale Giustiniani di insediare a Santa Prisca una comunità di Vallombrosani. Naufragato tale progetto, Giustiniani chiamò a risiedere a Santa Prisca gli Agostiniani della congregazione osservante di Lombardia, presenti a Roma dal XV secolo in Santa Maria del Popolo. Dopo l’impegnativo lavoro di restauro del luogo sacro, era naturale che il cardinale Giustiniani assicurasse, ai fedeli e ai pellegrini dell’anno giubilare, la cura del culto divino attraverso una presenza stabile, monastica ovvero religiosa, che garantisse il decoro del luogo sacro.

Fonte: L’Osservatore Romano – 18 gennaio 2023

[Articolo qui riproposto per gentile concessione del direttore del quotidiano edito dalla Santa Sede]