Il curioso ragionamento di Ernesto Galli della Loggia sulla crisi della democrazia, intesa in effetti come democrazia governante, merita una rapida e onesta valutazione.

Nell’editoriale di ieri sul Corriere della Sera (“Il lungo declino dei partiti” ) egli ricava dalla riforma elettorale locale, imperniata sull’investitura diretta dei Sindaci e poi dei Presidenti delle Regioni, la causa di una sostanziale alterazione dei meccanismi di funzionamento del potere democratico. Ne sarebbe scaturita una drastica contrazione degli spazi di partecipazione e di controllo, in particolare con l’impoverimento delle assemblee elettive. I partiti, una volta centrali nella vita amministrativa locale, avrebbero perso  in breve tanto la forza, quanto il prestigio.

Dunque, un’analisi stringente porta ad una conclusione altrettanto stringente: erose le loro prerogative in sede locale, i partiti avrebbero conosciuto fatalmente il degrado che oggi ne segna la vita a tutti i livelli. Ormai, a giudizio dell’editorialista, sopravvivono malamente a se stessi. Quando esistono, esistono in forma distorta, ad esempio come partiti personali. Fa eccezione, in verità, il Pd con il suo nobile e pur controverso ancoraggio alla “forma politica” della Prima Repubblica. Un Pd che a riguardo, come osserva stamane Rino Formica sul Domani (“Letta e i generali in fuga, Pd è malato ma non si vuole curare”), deve però “decidere se i partiti hanno ancora una funzione” dal momento che nemmeno esso “crede più nella sua funzione”.

Fin qui, tornando a Galli della Loggia, viene da riconoscere appieno la sua ragione polemica. La figura del Sindaco plenipotenziario, quasi nuovo Podestà elettivo, ha inoculato nel sistema politico-istituzionale il virus di una grezza semplificazione, ovvero il leaderismo senza correttivi adeguati. Nel prosieguo, tuttavia, il discorso s’inabissa nel controsenso. Infatti, a sorpresa, egli estrae da una critica puntuale non già l’esigenza del riequilibrio, dando più poteri ai Consigli (comunali o regionali) e dunque, per estensione, più forza al Parlamento; ma l’urgenza di una più razionale e potente semplificazione, passando dalla base al vertice della piramide del potere, così da sussumere nella dimensione statuale il dato di una democrazia con meno partecipazione e più decisione.

Si tratta evidentemente di un testa-coda concettuale. Oltretutto, se davvero l’Italia dovesse adattarsi a una riforma costituzionale in pratica di tipo presidenziale o semi-presidenziale, esaltando perciò il momento della sovranità sulla falsariga del modello gollista della V Repubblica, resterebbe da capire come i partiti potrebbero riconquistare per questa via la vitalità perduta nel tempo. Malgrado le premesse, tutta l’argomentazione di Galli della Loggia mira a un esito che conferma in realtà l’ineluttabile esautorazione dei partiti alla luce di una superiore garanzia di governabilità del sistema. La fatica della democrazia non contempla e quindi non autorizza, in definitiva, il ricorso a simili scorciatoie contraddittorie.