Mentre si parla di un conflitto prolungato, sale la pressione della pubblica opinione a favore della pace. Forse il negoziato si può aprire. Occorre rinunciare a una prova di forza inevitabilmente disastrosa. D’altronde il senso del digiuno proposto da Francesco sta proprio nella rinuncia consapevole e motivata. Bisogna comunque metttere in campo le ragioni – ecco la politica – di un sano compromesso.

Dicono gli esperti che sarà una guerra lunga, sebbene uno spiraglio sia stato aperto proprio nelle ultime ore. Noi vorremmo, in realtà, che la guerra terminasse subito, che fossero risparmiate altre vittime e altre sofferenze, che la ragione ripristinasse i suoi diritti contro l’arbitrio della forza, il ritorno della logica imperiale, la messa a terra di una nuova cortina di ferro a presidio della rinascente  geopolitica dei nazionalismi.

Che possiamo fare? I margini sono stretti, lo sappiamo. Biden ha messo in guardia l’opinione pubblica americana, sapendo di parlare al mondo intero: un passo in avanti, ovvero un intervento militare fuori dal mandato politico della Nato e senza una risoluzione (impossibile) dell’Onu, significa mettere piede nell’inferno della terza guerra mondiale. Il resto è digressione, appassionata ed esigente, ma nell’insieme assai poco perspicua.

Ora, i fatti positivi consistono essenzialmente nella reiterazione di messaggi forti e chiari del mondo occidentale, mai così unito come in questa circostanza. Alla derminazione si è unito il bilanciamento delle prime reazioni. La Nato ha deciso di rafforzare il suo dispositivo di difesa ad est, l’Unione europea si è mossa con sollecitudine e concretezza, tanto per le sanzioni economiche – siamo giunti al terzo pacchetto – che per l’apertura ai rifugiati ucraini, gli Stati Uniti hanno “dettato la linea” nell’opera d’isolamento della Russia, come si è visto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu dove non era scontata l’astensione della Cina. Tutto questo comprime lo spazio di manovra del Cremlino.

Non è da trascurare, per quanto ci riguarda, l’annunciata convergenza sulla mozione che va in votazione la settimana prossima alle Camere. L’Italia può giocare un ruolo importante sul piano politico e diplomatico, specie se il governo dovesse incassare, come appunto si profila, il sostegno pressoché unanime del Parlamento. Siamo dipendenti dal gas di Mosca, con tutte le conseguenze ampiamente rappresentate negli ultimi giorni, ma non deriva perciò da questo vincolo materiale la rinuncia alla ferma condanna dell’invasione. La politica, in sostanza, non è baratto.

La pressione della pubblica opinione serve ad arginare la rassegnazione. Anche nel fragore del momento, con l’assedio di Kiev elevato a monito delle coscienze, urge la speranza di una prospettiva di disarmo. A breve, non chissà quando e chissà come, quasi per disperazione. E il digiuno proposto da Papa Francesco assume, allora, il valore di generosa arma spirituale che restituisce onore all’umanità, la feconda di coraggio a dispetto del pessimismo e dell’ignavia, la sollecita a un impegno ancora più solerte in direzione della pace. È un digiuno che aiuta a immaginare, anche in extremis, la rinuncia a una fatidica prova di forza. Sullo sfondo di questa pratica cristiana non c’è l’irenismo di una labile mentalità impolitica, bensì la pazienza e la saggezza del compromesso.

C’è, in definitiva, la virtù della politica.