Adesso un “centro plurale”

Sono molti, ormai, gli elementi che portano a questa conclusione e che, dopo il voto del 26 maggio, dovranno essere in cima all'agenda politica.

L’obiettivo politico e culturale per chi non si riconosce – oggi e non ieri – nella “nuova destra”, nella “nuova sinistra”, e nel movimento “antisistema, antipolitico e populista” dei 5 stelle non può che ricostruire, con pazienza ma con tenacia, “il pensiero, la cultura e la politica di centro”. Ma per ricostruire un progetto politico che, come ovvio, non può essere maldestramente confuso con un semplice e banale posizionamento geografico, si deve uscire dall’isolamento e dalla autoreferenzialità puramente testimoniale. Un vizio, questo, che accomuna involontariamente e ingenuamente tutti coloro che sono impegnati da un lato a distruggere tutto ciò che potrebbe emergere all’orizzonte e, dall’altro, a ritagliarsi un ruolo del tutto marginale e prepolitico. Cioè, di fatto, inutile se si vuol condizionare e incidere nella concreta dialettica politica italiana.

Sono molti, ormai, gli elementi che portano a questa conclusione e che, dopo il voto del 26 maggio, dovranno essere in cima all’agenda politica. Soprattutto per chi non si rassegna ad alcune costanti che, a tutt’oggi, continuano a caratterizzare il dibattito politico nel nostro paese. E cioè, no alla radicalizzazione del confronto politico; no alla riedizione – seppur aggiornata e rivista – della teoria degli “opposti estremismi; no al confronto secco tra la destra e la sinistra; no alla cancellazione per decreto delle posizioni intermedie; no alla ripulsa verso la cultura riformista e di governo.

Semmai, e al contrario, va pronunciato un forte e secco si’ ad alcuni elementi che, uniti in un disegno armonico, costruiscono un progetto politico, culturale e di governo in grado di recuperare la miglior stagione riformista e democratica del nostro paese.

Si’ quindi, al pieno riconoscimento della cultura delle alleanze; si’ alla valorizzazione del pluralismo politico, sociale e culturale; si’ al recupero e riattualizzazione delle culture politiche riformiste e costituzionali; si’ alla cultura della mediazione; si’ alla capacità politica di comporre gli interessi contrapposti; si’ al dialogo e al confronto democratico tra la maggioranza e l’opposizione senza perseguire il disegno – caro alla “nuova destra” di Salvini e alla “nuova sinistra” di Zingaretti – di annientare politicamente il nemico o di distruggerlo sotto il profilo morale ed etico; si’ alla riscoperta della cultura di governo e si’, infine, ad un rigoroso rispetto delle istituzioni e dello Stato.

Insomma, si tratta di invertire la rotta rispetto alla deriva dell’attuale radicalizzazione del conflitto politico per ridare una qualità e un’anima alla democrazia italiana. In questo quadro il contributo politico, culturale, programmatico e anche etico dei cattolici democratici e popolari può essere importante e decisivo ai fini del raggiungimento di quell’obiettivo. Certo, un contributo non esaustivo ed esclusivo ma sicuramente di qualità. Purché, e su questo versante non si può più tergiversare, si esca dall’attesa impotente, dal rinvio al 2040 e anche oltre, dal ritrarsi nelle fila del prepolitico o dalla predicazione astratta e quindi sterile. Chi continua con questi atteggiamenti lavora, consapevolmente o meno che sia ha poca importanza, per ridare slancio e vigore all’attuale geografia politica. Adesso, invece, servono altre categorie: coraggio, lungimiranza, coerenza e volontà di impegno.